Racconto in due atti

di Marcello Brina

I atto - La buca
 

Invisibile, nascosta dall'erba alta mal tagliata, una buca insidiosa né troppo larga né troppo profonda, giusta per imprigionare un piede piccolo o grande che fosse, aspettava con noncuranza la vittima.
Diverse volte un nugolo di bambini l'aveva sfiorata, ondate di allegria che attraversavano il parco come folate di vento, grida spensierate che illuminavano i volti dei pigri astanti, un quadro bucolico che nutriva di serenità e gioia il cuore.
Poi nell'ultima corsa, la bambina più scapigliata, con le gote più infiammate, gli occhi più birichini, le ginocchia più sbucciate dell'intero parco, c'era finita dentro.
Tanto era il dolore, la fitta disumana che le correva dalla caviglia al cervello che il grido uscì smorzato, soffocato.
La bambina riuscì ad esprimere solo due grossi lacrimoni.
Le grida dei suoi amichetti si persero lontane e all'improvviso nel parco si sentì sola, il sole non irrideva più, le nubi ora erano nere e minacciose, gli astanti lontani, immersi nei loro pensieri si allontanavano incuranti.
- Oh povera bimba, ti sei fatta male?
Alto, nero il vecchio la scrutava maligno, alternando sguardi languidi alla poverina ad occhiate guardinghe che correvano per il parco.
- Povera bimba , non aver paura ci sono qua io.
E prima che la giovinetta potesse dire, fare, pensare qualsiasi cosa, le liberò il piedino con un gesto secco, raccolse la bimba inerte e si allontanò velocemente con la sua preda.
Le nuvole minacciose si dispersero velocemente, il sole tornò a splendere e sotto i suoi raggi anche la figura torva di un vecchio che si allontanava circospetto sembrava meno lugubre.
La fretta, il sole accecante lo portarono direttamente sulla buca.
Le ossa vecchie e usurate scricchiolarono e il vecchio cadde con un rumore sordo e raccapricciante.
Guardò la sua gamba scomposta come non fosse sua, dapprima si ostinò a cercare di liberarla poi si arrese preparandosi al peggio, alla vergogna alla gogna.
La voce stridula alle sue spalle lo raggelò - una banda di ragazzacci armata di bastoni, catene, e non di buone intenzioni lo circondò.
Ghigno e sarcasmo, manate sulle spalle scheletriche, scappellotti che fecero volare il cappello lontano e con esso le speranze di potersela cavare con poco.
- Su ragazzi liberiamo il nonno, tutti insieme.
L'urlo lancinante squarciò la calma del parco, da lontano qualcuno sollevò lo sguardo, poi vedendo la banda riprese la propria strada alzando il passo.
Il gruppo si diresse allegro e rumoroso con la sua preda verso il boschetto al riparo da sguardi indiscreti.
Questa volta per il sole non ci fu pietà nessuna nube oscurò il massacro néil vento attutì le suppliche e i lamenti del vecchio.
Dal boschetto uscirono tutti con un trofeo felici e gioiosi, bambinoni allegri senza pensieri e senza rimorsi.
Solo il capo si attardò preso dalla foga, accecato dal sangue, ebbro di follia.
Fuori dal boschetto, solo senza riparo, senza banda ebbe paura, corse senza ragione e finì di testa nella buca.
- CIIIao, ti ricordi di me?
Il ragazzo in carrozzella era l'ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quell'occasione.
L'aveva pestato a sangue un estate prima, era così vigliacco, senza palle che non li aveva nemmeno denunciati, anzi ... continuava a foraggiarli di soldi, sigarette e merendine.
- CIIIao, ho una merendina la vuoi?
Una macchia poco mascolina si aprì sulla patta del ragazzo poi tutto fu buio.
Un quintale di rabbia e repressione sopra una sedia a rotelle che passa e spassa sopra un corpo inerme, dopo alcuni minuti ha dilaniato scorticato, frantumato più di dieci mazze da golf.
La sua ossessione era morta, ma il suo cuore non aveva ancora pace, nel bel mezzo del corso che stava attraversando girò la carrozzina e salutò il corpo dilaniato, che a malapena si scorgeva nell'erba, con il segno dell'ombrello.
Lo scarto improvviso fece perdere il controllo del bus 56 che per evitare danni maggiori lo investì in pieno.

Fino a notte inoltrata il parco fu preso d' assalto da uomini della polizia, magistrati, medici, giornalisti e curiosi che a fatica si riusciva a tenere lontani.
Poi tutto fu recintato e a parte qualche piantone lasciato a tenere lontani gli sfaccendati, il resto del mondo andò a letto.

 

- II atto - La scommessa
 

Se i piantoni avessero fatto bene il loro lavoro avrebbero di sicuro notato bagliori sospetti o quantomeno inusuali provenire dalla buca.
Due loschi figuri provenienti dal sottosuolo allargarono la buca e si sedettero ai suoi bordi uno di fronte l'altro.
Mentre uno spegneva le ultime fiammelle l'altro sbuffava incollerito.
- Non pensarci più Sbondus disse l'altro diavolo, hai sempre perso e con me perderai sempre.
- Hai culo, più culo che anima ghignò Sbondus.
- Sei sicuro ? - lo incalzò l'altro.
- Sicuro, sicuro – ripeté come un automa Sbondus - facciamo una scommessa chi vince si prende le anime conquistate dall'altro, io metto un pistola carica fra i piedi di un povero cristo che ha perso il lavoro, la figlia gli svuota il conto corrente, la moglie lo cornifica, ...cazzo ... invece di fare una strage s'ammazza.
- Perché non sei un diavolo - disse con disprezzo il suo interlocutore – sei un pollo, un povero pollo senza cervello; ma ti pare che uno che voglia fare una strage aspetta che tu gli procuri una pistola, un assassino uccide con le mani con il coltello della cucina, fa esplodere la palazzina.
- ...e la buca, la buca cosa centra? - ribatté intimorito  Sbondus.
- Se tu conoscessi gli uomini come li conosco io, sapresti che anche il più vile, il più flaccido, meschino essere di questo pianeta, quando ha la fortuna sfacciata di trovare il suo nemico, la sua preda, l'oggetto dei suoi desideri inerme abbandonato, senza difese, diventa come la faina in un pollaio: senza ritegno e senza pietà.

- Epilogo

- Voglio la rivincita - disse Sbondus.
- Smettila - sibilò l'altro diavolo.
- Voglio la rivincita - gracchiò Sbondus, quasi implorando.
Il demone che gli stava di fronte gli artigliò il braccio conficcandogli i grossi artigli nella carne color pece.
- Mi hai stufato, se vuoi la rivincita, l'avrai alle mie condizioni!!!
- Va bene va bene - sospirò il povero diavolo, non più tanto convinto - come vuoi tu.
- Allora ricordati, non voglio le tue anime di poveri sfigati , la scommessa è questa: chi perde leccherà il culo all'altro per l'eternità e dopo ogni leccata gli dedicherà una poesia ... allora??
- Ma tu sei matto, chi ti credi di essere - gridò Sbondus - se ti sente Lucifero ...
La stretta si fece violenta zampilli di liquido verdastro imbrattavano i due contendenti
- A Lucifero ci penso io, adesso dimmi di sì, mi stai facendo arrabbiare ...!!
- Sì sì - piagnucolò Sbondus.
- Però non so ancora cosa voglio fare per vincere - sospirò rassegnato il diavolo Sbondus.
- Pensaci quando vuoi - sogghignò il diavolo Bresculos, io so da un pezzo cosa fare, fonderò un partito.

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