Andar per figure retoriche a La Cassa

diego finelli
Un sabato pomeriggio di febbraio, oltre metà febbraio, un sabato pomeriggio che finalmente c'è il sole dopo un inverno davvero lungo, tanto lungo che è incominciato ad ottobre. E' un sabato pomeriggio che avevo pensato di andare al mare ma poi ho cambiato idea perché pensavo che avrebbe fatto brutto tempo e invece c'è un sole che levati. Però c'è anche il vento e come vedremo ha la sua importanza.
 
Ada è un po' depressa perché lei al mare ci sarebbe andata uguale anche col freddo, figuriamoci a vedere che fuori c'è il sole. Sarà per un'altra vita, dice. E sospira.
Allora alle tre usciamo di casa: il Rosso va a allenamento a rotolarsi nel fango, noi mettiamo su una felpa o un pile in più, uno zainetto con due bottiglie d'acqua del rubinetto, la macchina fotografica, attacchiamo il cane Brodo al guinzaglio e prendiamo su per la montagna.
L'intenzione è di incamminarsi per Costa Bela e arrivare in punta, ma molto dipende dalla tenuta fisica di Mafalda e ancora di più del giovane Volpasso.
 
Guarda, la vedi la punta della montagna?
Sì, quella là.
No, quello è il Monte Bernardo, la punta sotto.
Non è a punta.
Va bene, ma hai capito dove voglio dire?
Sì. 
Lì è la cima di Costa Bela.
Cosa vuol dire cima? Chiede Volpasso.
Punta, dico io.
Ma non è a punta.
Piantala.
Va bene. Allora?
Allora cosa?
Mi hai chiesto se vedevo la punta della montagna, che poi non era quella ma quella più sotto, e non è a punta: allora?
Allora andiamo fino in punta a Costa Bela. Se ce la fai.
Proviamo.
Proviamo.
 
Ci incamminiamo per via della fonti e Brodo tira da matti: alla fine della strada asfaltata lo liberiamo e potrebbe correre libero ma è talmente felice e agitato che guaisce di continuo e non sa bene se scattare a anticipare i nostri passi o continuare a girarci attorno.
Prima di imboccare il sentiero salutiamo Stefano e Nadia e facciamo conoscenza con una gallina e col cane Fidel.
 
Per esserci il sole c'è il sole, ma c'è anche l'aria fredda, così nel primo tratto, che è in ombra, mi tiro su il cappuccio della felpa.
Poi la strada gira a sinistra e non si vede più niente e lì, dovendo quasi chiudere gli occhi per vedere, anziché spalancarli, ho raccolto la prima figura retorica della giornata: una meravigliosa, gratuita, avvolgente antifrasi. Sicuramente ne avevo già lasciate per strada delle belle, ricercate, particolari. Ma io sono di quelli che quando va a funghi ne trova solo se si inciampa, e poi ancora. Figurarsi con le figure retoriche, senza neanche aver fatto il classico.
Dicevo della prima figura retorica che ho raccolto, proprio perché ci sono finito contro, o per meglio dire dentro: a girare in quel modo, su per la strada che porta a Costa Bela, appena il sentiero si allarga un po' e sale oltre, nei pomeriggi della seconda metà di febbraio e, sono pronto a scommetterci, anche della prima metà di marzo, si finisce dritti dritti dentro un fascio di luce palesemente antifrastico. La luce del sole non fa luce, il sole fa una cosa per farne un'altra, per fare il suo contrario. Ma poi mi accorgo che a chiudere gli occhi, invece che aprirli, vedo: non so se vedo meglio o peggio, ma vedo. Vedo diverso: il sentiero, la strada taja feu (si scrive così?), è un brulicare d'acqua che mi viene incontro e che moltiplica e amplifica in mille i riverberi di questo sole in faccia così naturalmente antifrastico.
Allora mi fermo, chiamo Mafalda.
Vieni qui che devo prendere una cosa nello zaino.
Tiro fuori il taccuino, il tratto pen e scrivo: antifrasi.
Andiamo avanti.
 
Mafalda e Volpasso saltellano allegri, l'acqua che vien giù in rivoli contagia allegria.
Ada scatta foto. Il respiro si fa un po' più pesante, il vento cala e si suda quasi. Brodo ha la lingua che tocca terra e sorride.
 
A un dato momento la strada curva di nuovo, stavolta verso destra e il sole lo lasci di fianco, un po' indietro. Di nuovo passaggi tra fango e pietre e piccoli ruscelli. Volpasso ogni tanto lo devo tirare su che se no finisce a bagno.
Mafalda rimane indietro per continuare a scattare foto; ogni tanto mi fermo cercando di non darlo a vedere, per non staccarla troppo. Quando mi raggiunge è imbronciata.
Mi vengono uno schifo.
Fa vedere.
Non ce n'è.
Come non ce n'è?.
Non ce n'è perché le ho cancellate tutte, mi vengono male, dice Mafalda.
Le ha fatte tutte in controluce.
 
Ada prende la macchina, ma la vuole anche Volpasso. Fa un paio di foto lui. Poi la vuole di nuovo Mafalda, ma Volpasso non molla. Alla fine la macchina la tiene Ada che si ferma a fotografare l'acqua che scorre, io e i masnà proseguiamo.
 
Papà mi dai qualche consiglio su cosa fotografare?
Sì. Ma prima di tutto devi imparare che è più facile fare le foto con il sole alle spalle.
In che senso?
Io e Mafalda andiamo avanti un po' a parlare di angolazione della luce mentre continua la salita. Ada è rimasta dietro la curva. Si alza il vento.
 
Poi arriviamo all'ultimo tratto prima che la strada si biforchi, c'è anche il cartello: a sinistra Givoletto, a destra Costa Bella. E in quel tratto di strada trovo la figura retorica che mi ha fatto venire in mente l'idea di scrivere questa cronaca sgangherata di un sabato pomeriggio.
Quando posso mi piace chiacchierare coi masnà, lasciare che mi raccontino e che descrivano quello che vedono e sentono, oppure raccontare io a loro quello che vedo e sento in un dato momento. 
Quel sabato pomeriggio, mentre Ada era indietro a fare foto all'acqua, io e Volpasso e Mafalda procedevamo quasi spediti oramai a due terzi di strada per arrivare in punta a Costa Bela (sul cartello è scritto con due elle, lo so, ma a me piace di più così), il cane Brodo faceva la spola tra noi e lei tentando di ricucire lo strappo, chissà, forse spinto da una reminescenza di cane pastore nascosto in qualche recesso del suo patrimonio genetico. In quel mentre, a un dato momento, si alza una folata di vento da  portare via, e mi prende la voglia di sottolineare quello che vedo e che sento coi masnà.
Sentite, dico, sentite.
Che cosa?
Sentite la voce del vento in mezzo agli alberi.
E cosa dice?
Non lo so, ma è bello sentirla. E' un urlo, un gridare sussurrato. Sentite che spettacolo di colori in movimento. Vi piace?
Sì, rispondono tutti e due. Forse pensano di avere un padre balengo. Pazienza. 
Sentite e guardate che bello, che bel suono, che bella voce, che bisbiglio potente.
 
Arriviamo al bivio, aspettiamo se arriva Ada: voglio chiederle se è capace a fotografare un ossimoro. O una sinestesia. Mentre aspettiamo mi faccio di nuovo dare il taccuino e scrivo quello che abbiamo trovato.
Ada non arriva: faccio un fischio, un altro. Niente. Proseguiamo.
 
Dell'arrivo in punta a Costa Bela non parlerò. Comunque ci siamo arrivati e c'era ancora un po' di neve. E i masnà han fatto merenda.
 
In discesa abbiamo fatto a gara con l'ombra, a vedere chi arrivava prima in paese. Abbiamo vinto noi, ma di poco.
 
 
 

Stefano 7 marzo 2010, 00:33
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In effetti una punta deve essere a punta se no' che punta è? Ci è piaciuto il tuo racconto "ricontraccambiamo" i saluti: Stefano, Nadia, Alessandra, Fidel, Napoleone per gli a-mici Nane, Guendalina, Cora, Bella, Spenna (le galline di cui penso tu abbia conosciuto Spenna la più cordiale) Alla prossima salita....

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