Barmes News

 BARMES NEWS                                         

Luglio 2010 num.34 numero 34

numero 34

                                ieri,oggi,domani

Alla scoperta del nostro villaggio

 

 

 

 

 

 

1610-2010          Quattrocento anni di Balme

 

  •  Il compleanno del Comune
  •  Antiche strutture abitative a Balme (Prima parte)
  •  Il Ruciàss, una leggenda balmese
  •  L'abate Garino: la triste vicenda di un prete stregone
  •  Le vacanze estive di Fabrizio De Andrè al Pian della Mussa
  •  Le peonie di San Giovanni
  •  Umberto di Savoia Principe di Piemonte incontra i Balmesi
  •  La stèila
  •  Parlén a nosta moda...(13) Al s' èrbess
  •  Cronologia Storica di Balme 1800-1899

 

 

 

Realizzato a cura del Comune di Balme (TO), scaricabile dal sito web: www.comune.balme.to.it

Inviare gli articoli all'indirizzo mail: gianni.castagneri@libero.it

 

Inviare gli articoli all'indirizzo mail: gia                                     

 

Il compleanno del Comune

di Gianni Castagneri

 

“La tradizione è tramandare il fuoco, non adorare le ceneri.” Gustav Mahler.

Vogliamo aprire il nostro notiziario con questa asserzione che riteniamo in questo momento emblematica.

Il raggiungimento dei quattro secoli di storia comunale, non è solo il conseguimento di un ambìto traguardo, ma è principalmente la tappa di un percorso che è molto più lungo. Troppe volte chi legge dei fasti passati del paese, è tentato dal sostenere che un tempo, più o meno lontano, fosse tutto migliore.

Se invece di limitarci alle sensazioni andiamo ad esaminare gli eventi passati, scorgiamo invece, specie negli ultimi 150 anni, cicli oscillanti in cui si rincorrono periodi luminosi ad altri più sfavorevoli. E sullo sfondo di tutto, lo scorrere lento e faticoso di vite semplici, molto spesso gravate da ristrettezze quotidiane e da avversità incredibili.

Analizzando a fondo la storia passata, ci accorgiamo che spesso la ripresa dopo i periodi difficili, non è solo l'effetto di congiunture favorevoli, quanto piuttosto il risultato di sforzi comuni indirizzati e guidati da interpreti esemplari della loro epoca che solo il tempo riesce a collocare in una giusta luce. Figure abili nel rilanciare la propria vita e quella della comunità di appartenenza, capaci di sforzi straordinari nei momenti difficili e preparati a condurre i processi nei momenti di maggior fortuna.

Il tempo trascorso deve soprattutto essere un patrimonio a cui attingere per immaginare e disegnare il futuro. Occorre comprenderne gli errori per evitare di ripeterli, ma è bene vedere le opportunità migliori per svilupparle.

Oggi che a Balme vivono i proverbiali quattro gatti, bisogna aver la capacità e la forza di proseguire gestendo al meglio le risorse economiche e umane a disposizione. E' indispensabile che ognuno di noi, abitante, villeggiante, turista o semplice sostenitore che sia, metta in azione tutte le energie e capacità per ottimizzare gli sforzi e moltiplicare i risultati.

Come dicevamo all'inizio non limitiamoci a venerare quello che ci sta alle spalle ma, senza dimenticare, rendiamoci degni della nostra storia progredendo verso un futuro che sia possibilmente ricco di soddisfazioni.

E intanto cominciamo a far qualcosa, anche semplici cose.

Iniziando dal prenderci cura del nostro paese. Quello che ammiriamo spesso degli altri luoghi di montagna non è altro che un po' d'ordine, l'erba tagliata e i fiori sul balcone. Certo non è tutto, ma visto che il turismo è più o meno direttamente una buona risorsa per l'economia del paese, agiamo perché quello che ci appartiene non sia solo bello per noi, ma sia anche piacevole per gli altri. Ingegniamoci per fare in modo che quello che lasciamo ai nostri figli sia un po' meglio di come lo abbiamo trovato.

Un detto balmese dice: “Qui q'ou l'at poei at fàri par i auti ou fàit nhianca par quial”. Chi ha paura di fare per gli altri non fa neanche per sé stesso. E un altro delle valli occitane sostiene: “Chi rinuncia a lottare per ciò che ama, si accontenta di amare ciò che ha”.

Dunque non chiudiamoci nei nostri stretti recinti, abbandoniamo i pregiudizi e schiudiamoci al domani con convinzione. Prendiamo ispirazione dagli altri per intraprendere un nostro percorso. Un cammino che sappiamo complicato e in ascesa. Ma che siamo certi, come avviene dopo la salita di un irto sentiero, saprà serbare la sorpresa di uno splendido, incancellabile scenario.

 


Antiche strutture abitative a Balme (Prima parte)

di Roberto Drocco

 

Estratto da Miscellanea di studi storici sulle Valli di Lanzo, in memoria di Giovanni Donna d'Oldenico, a cura di B. Guglielmotto-Ravet, Lanzo Torinese, Società Storica delle Valli di Lanzo - L, 1996.

 

Introduzione

Castelli rupestri, fortificati, ricetti, caseforti, borghi franchi e nuovi, riportano la memoria all'affascinante periodo medievale. È in questa fase storica che il castello assume le forme fiabesche e fantasiose ricche di torri merlate e facciate affrescate a cui l'iconografia ci ha abituati.

Il Piemonte, nel panorama castellologico e della fortificazione in genere, fornisce senza dubbio vari esempi significativi. Inutile negare l'importanza della vicina Valle d'Aosta, da sempre presente nella cultura pedemontana. Le stesse Marche d'Ivrea, del Monferrato ed il Ducato di Milano, si sono spinti oltre i loro confini, interessandosi alle Valli del Canavese e di Lanzo. Queste ultime, molto diverse dalle vicine realtà della Valle di Susa e della Valle d'Aosta per abitudini, cultura, usi, abilità artigianali e contadine, danno origine a condizioni particolari ed al nascere di singolari situazioni.

Le Valli di Lanzo hanno storicamente avuto il loro confine e limite sorvegliato all'imbocco delle vallate in corrispondenza del ponte sulla Stura. La Valle di Susa aveva invece, in pari periodo, il confine spostato sulle montagne rimanendo aperta verso la pianura. Solo nel XVI Secolo la fortificazione di Exilles fu posta a sbarrare il transito attraverso la Valle.

Verso il Milleseicento il "Ponte del Roc" di Lanzo Torinese sarà all'apice del suo utilizzo che andrà scemando progressivamente dalla seconda metà del XVII Secolo fino all'Ottocento. Il Ponte, edificato verso la fine del Trecento, va interpretato come un'opera integrata nel più vasto sistema di fortificazione del Castello, del Borgo cintato e delle difese esterne, al fine di controllare tutto il traffico pedonale e someggiato che qui doveva pagare pedaggio.

Nel 1564 un'ordinanza decreta la costruzione sul Ponte di una porta che doveva servire a bloccare l'ingresso verso le Valli durante il periodo in cui fosse rilevata nel Borgo l'insorgenza di casi di peste. La porta rimase inserita per alcuni secoli e venne eliminata quando l'interesse per il transito decadde in corrispondenza delle nuove esigenze del traffico.

Queste informazioni ci aiutano a capire in quale situazione vivevano le persone che abitavano in valle e come dovevano essere limitati i contatti con le popolazioni vicine.

 

Risalendo le Valli di Lanzo verso il Piano della Mussa, si giunge a Balme che probabilmente deve il suo nome al fatto che in zona si trovano parecchie rocce sporgenti che nel patois locale sono chiamate barmes2.

Non è possibile precisare quando abbia avuto origine l'antico Borgo. Sicuramente esisteva già nel XIV secolo in quanto se ne fa riferimento nei Rendiconti della Castellania di Lanzo3 di quel periodo. Sulle pergamene è probabilmente riprodotta la pronuncia popolare “de barmis” che successivamente fu tradotto in “loco balmarum”4.

Le origini di Balme sono però molto più antiche. Silvio Solero nella Storia Onomastica delle Valli di Lanzo5 scrive che il nome Venonio un tempo era utilizzato per identificare tutto il Piano della Mussa e la mutazione in Venoni servì invece in epoca successiva per individuare soltanto più l'Alpe e la Rocca. Il nome sarebbe in effetti da far risalire ai romani Vennonii che possedevano fin dal II secolo quel fondo rustico. Doveva quindi esistere necessariamente anche un piccolo villaggio più a valle.

 

1. Castagneri-Ljinch

Durante l'inverno l'abitato di Balme rimaneva per alcuni mesi sepolto sotto la neve. Gli abitanti erano talvolta costretti a restare chiusi per giorni interi nelle loro case. Per settimane il villaggio non poteva comunicare con le sottostanti borgate né potevano intervenire soccorsi esterni. Ogni nucleo famigliare doveva perciò fare delle provviste per poter superare i rigori dell'inclemente stagione6.

Oltre alle copiose nevicate che mettevano in difficoltà i balmesi, dalla ripida roccia alle spalle dell'abitato si staccavano violente valanghe che rovinavano anche sulle case. Ancora oggi, a testimoniare il pericolo mai scongiurato, alcune baite costruite in questa zona presentano, rivolti verso la montagna, possenti speroni in pietra a forma di cuneo costruiti apposta per deviare la violenza dell'impatto e salvare la costruzione.

E' in questo quadro insolito che nel 1591 un abitante di Balme decide la costruzione della propria casa e sceglie di farlo in luogo sicuro ed al riparo dai rischi di valanga7. Il sito che si presenta adatto per questo progetto è uno sperone roccioso a picco sulla Stura. L'idea così ardita ripone fiducia proprio nella caratteristica principale di quel luogo: la salda roccia su cui costituire sicura e stabile fondazione per l'edificio.

Nasce cosi il Rociass dei Castagneri-Ljinch, abitazione fortificata a metà strada tra la Casaforte ed il Castello rupestre che riunisce caratteristiche comuni sia ai Ricetti che ad altre costruzioni tipiche dell'architettura medievale.

Un blocco di pietra murato nel loggiato della costruzione reca incisa questa scritta: «1591 ali 5 magio / me Jouan Castagnero / ho fato la pte casa / laus deo».

 

Inoltre, le vecchie guide turistiche delle Valli, riportavano l'esistenza di un'altra testimonianza anch'essa singolare. Pare infatti che in una delle stanze dell'edificio fossero affrescati i ritratti di quel Gioanni Castagnero e di uno dei suoi figli8. Anche se questa notizia è stata ripetuta da alcune guide più recenti, oggi non ha più alcun fondamento. Si tratta semplicemente, come spesso accade, di dati copiati senza verifiche adeguate. Probabilmente la scarsa qualità del supporto pittorico ha portato alla perdita dei disegni come pure potrebbe essere stata la scarsa attenzione da parte di qualche "inquilino" che ha abitato quelle stanze in epoche successive.

Chi era questo "nobile" Gioanni Castagnero detto il Ljinch che in un panorama così povero, con singolare intuizione, si fece carico di edificare una casa talmente grande da costituire in seguito riparo temporaneo per gran parte degli abitanti della prospiciente antica borgata? Qual era, o quali erano, le attività che gli permisero di assoldare un numero sufficiente di artigiani in grado di costruire frontoni in muratura a secco di circa quindici metri di altezza? Qual era il rapporto che interessava le parti nel momento in cui il Rociass diveniva “condominio” per la gente che abitava nella borgata che era a rischio di valanga?9 Quale personalità può aver alimentato la fantasia delle generazioni successive tanto che ancor oggi a Balme se ne parla come di un personaggio scomparso da poco ed in grado di essere protagonista di curiose storie immaginarie?

Le probabili risposte, dopo oltre quattro secoli dalla fondazione dell'edificio, sono quelle derivanti da un'analisi sistematica del fabbricato ancorata però il più possibile ad una ricerca sui personaggi che contribuirono all'edificazione e che vissero nello straordinario "castello".

Gli innovativi sistemi di costruzione: particolari tessiture in pietrame, orditure dei tetti, il particolare impiego del legno, si possono far risalire all'immigrazione in Valle di popolazioni provenienti dal bergamasco'°. L'uso particolare delle chioderie trova invece giustificazione nel trasferimento di artigiani chiodaioli dai centri di Pessinetto e Ceres in alta Valle. La grandiosità dell'edificio lascia tuttavia supporre che all'epoca della costruzione, gran parte degli abitanti del luogo furono coinvolti nei lavori anche come semplice manovalanza. Su tutti emerge però la figura del Ljinch che sicuramente dovette sovrintendere i lavori trasponendo nell'edificio tutta la sua eclettica personalità.

Il cognome dei Castagneri compare, unitamente alle prime testimonianze documentali sugli abitanti di Balme, sulle pergamene dei Conti della Castellanìa di Lanzo.

Un Gioanni Castagnero viveva in Ceres nella seconda metà del Milleduecento e il suo nome risulta ancòra riportato, unitamente a quello della figlia Perona, nei Conti della Castellanìa di Lanzo del 1310-11. Successivamente risultano un Giacomo (1311-14), un Guglielmo (nel 1308 e nel 1328) e faticosamente si può ricostruire la discendenza fino a giungere al personaggio che più di tutti ha lasciato traccia di sé.

Gioanni (Jouane) Castagnero-Ljinch nasce a Voragno (Ceres) nel 1550, ha interessi economici in molte fucine delle Valli e, dotato di viva intelligenza e spirito d'intraprendenza, diventa ben presto ricco.

Nel 1613 un documento attestava che «gia per molti et molti anni » Gioanni Lenchio, affittava l'Alpe della Ciamarella dagli Abati di San Mauro e pare che proprio per questo motivo egli si sia trasferito da Voragno a Balme 12.

II 12 dicembre 1599 a Ciriè, alla presenza del sig. Tomaso Sorle borghese e «Dottore d'ambe leggi» in Lanzo, acquistava da Carlo Ant. Perrachio parte dell'Alpe Venoni; la restante parte Castagnero l'aveva acquisita in precedenza. Permutò con i consorti della Mussa un suo terreno con altro in località Ginevro e Marmuttera all'Alpe della Costa della Mussa e qui fece costruire una baita ed una cappella, fatto che fu origine di liti con gli Abati di San Mauro 13.

Gioanni Castagnero aveva già acquistato, oltre ad altri beni, anche le Ragioni Feudali che i conti Provana di Leyni avevano su Balme. Questo episodio gli procurerà la possibilità d'intraprendere importanti iniziative anche a favore della comunità di Balme14.

Nel 1610 ottenne che il piccolo paese venisse eretto in Comune autonomo in alienazione da quello di Ala. Nel 1612 e per decreto di Mons. Carlo Broglia ottenne che, a partire dal 12 gennaio di quell'anno, la chiesa di Balme diventasse Parrocchia 15. Già prima di queste date e naturalmente anche in seguito, Gioanni Castagnero ricoprì cariche di prestigio nell'amministrazione del Comune. Questi fatti, assieme all'acquisizione delle Ragioni Feudali, gli valsero la possibilità di fregiarsi del titolo di Nobile. La qualifica, che spettava anche ad altri personaggi illustri delle Valli, non era soggetta a prescrizione e consentiva di fregiarsi di uno stemma di famiglia16.

Gioanni Castagnero muore nel 1643 all'età di novantatre anni ed è considerato, per i vari meriti, il fondatore di Balme.

Alcuni racconti popolari descrivono il Castagnero impegnato a coniare monete d'oro nelle zecche segrete di Balme e Voragno, oppure dedito al mestiere di contrabbandiere. Leggende sono forse nate nell'intento di giustificare la sua grande ricchezza. Oggi il suo nome è legato alla grande casa del Rociass che egli volle costruita sulla solida e sicura roccia a picco sulla Stura.

 

2. Le costruzioni in Balme

Risalendo ed osservando i nuclei originali del complesso abitativo di Balme, se immaginiamo di eliminare le costruzioni più recenti e le modifiche urbanistiche dei primi decenni del Novecento che hanno in parte sconvolto il centro del paese, è possibile  individuare due tipologie di abitazioni: quelle a carattere civile e quelle utilizzate dagli alpigiani per le attività lavorative.

Le costruzioni civili non differiscono molto da quelle di bassa Valle, hanno un disegno assai semplice. Due piani fuori terra con tetto a due falde, balcone che percorre tutta la lunghezza della facciata meglio esposta e piccole aperture.

I vani interni hanno anch'essi una distribuzione razionale e sono di piccola grandezza. All'esterno la muratura risulta intonacata in modo grezzo con l'apposizione di calce limitata alle pareti più importanti e a contorno di finestre e porte; le altre pareti sono lasciate con la muratura di pietrame a vista.

Molto differenti risultano invece le case rurali. Sono addossate le une alle altre in modo apparentemente disordinato ed il tetto, sempre a due falde, si prolunga di parecchio in aggetto rispetto alla facciata. In questo modo si riescono a coprire gli stretti passaggi fra le case e viene garantita la percorribilità anche durante le nevicate più copiose.

L'inclinazione delle falde, ricoperte di lose, è intorno ai quarantacinque gradi e lo spiovente accentuato è anche utile per riparare il fienile ed il balcone che nella bella stagione è anche utilizzato come stenditoio.

Le pareti delle case più esterne all'abitato e quindi più vicine allo strapiombo roccioso che incombe sul paese, sono munite di uno sperone di muratura di pietrame a secco. Il vertice rivolto verso la montagna, ha il compito di deviare l'impatto di un'eventuale valanga.

La casa rurale del concentrico di Balme non dispone di più di cinque o sei vani distribuiti nel modo classico: al piano terreno la cucina e la stalla, al primo piano le camere da letto e nel sottotetto il fienile. Il passaggio fra i piani avviene tramite scale in legno piuttosto ripide e poste all'esterno dell'edificio.

I solai sono interamente in legno, i travi orizzontali che costituiscono la struttura portante, sono incastrati agli estremi nella muratura in pietra. Su di essi si trova distribuito un tavolato caratterizzato da assi di elevato spessore ma di larghezza contenuta.

Nel 1867 Luigi Clavarino, all'interno del suo Saggio di corografia statistica e storica delle Valli di Lanzo, fornisce questa descrizione delle case del concentrico di Balme: «Per la costruzione di case di una tale semplicità non si richiede tutta quella congerie di materiali e tutto quello apparato di macchine e di armature indispensabili ad elevar le abitazioni che la mondezza, il lusso e l'arte hanno imposto ai mortali inciviliti. Pietre spaccate, lastroni di pietra da quattro o cinque centimetri di spessezza, travi, correnti di larice o pino, assi o tavole di larice o castagno, poca calce, molta sabbia e poca chiodagione, formano l'insieme delle provviste elementari per costruire una casa campestre. Le pietre da 30 a 50 centimetri di coda sono raccolte nel letto di Stura, o preparate spaccando con poderose masse di ferro le roccie di granito ridotte a conveniente volume per mezzo della mina; i lastroni si rinvengono nelle regioni più alte in massi stratificati, che si riducono colla mina e si paccano collo scalpello; si tagliano nei boschi comunali le piante di larice necessarie per farne correnti (cantieri), tavole per gli assiti e solai, e per le travi si adoperano grosse piante di castagno, che si tagliano nei fondi particolari; la calce è fornita dalle fornaci della valle, oppure da quelle di Rivara sul canavese. La sabbia si raccoglie sul letto di Stura, e la grossa chiodagione viene fabbricata nella Valle Grande, ed in ispecie nelle fucine di Pessinetto; la ferramenta di porte e finestre, le inferriate ed altri oggetti in ferro, vengono fabbricate in tutte queste valli. I lavori accessorii da falegname vengono pure lavorati sul luogo, tanto per le fabbriche civili, quanto per le rustiche. Mancano assolutamente i cordami, il gesso ed i vetri»18.

Se si vuole individuare il nucleo centrale dello sviluppo urbanistico di Balme su riferimenti cartografici, la base è sicuramente rappresentata dalla Mappa del 1866 del Catasto Rabbini. Questo è infatti il primo documento cartografico ufficiale su cui compare l'assetto distributivo e viario di Balme. Nel 1921 viene effettuata la rielaborazione della Mappa Rabbini e la nuova Mappa è adottata come cartografia ufficiale del Primo Catasto del Regno d'Italia. Si dovrà attendere parecchio per avere lo sviluppo completo della cartografia che avverrà attraverso la Mappa Catastale del 1974.

 

3. II Rociass di Balme

Oggi si rischia di transitare accanto all'edificio senza accorgerci della sua presenza anche perché, sul lato che costituisce il fronte verso strada, non risaltano elementi che lo differenzino dagli altri agglomerati di baite ed edifici rurali.

La carrozzabile che utilizziamo oggi e su cui è convogliato il traffico automobilistico, stravolge infatti l'originario approccio che si doveva avere con l'antica struttura all'epoca della sua fondazione sino allo stravolgimento urbanistico. Inoltre l'edificio risulta fortemente compromesso per la scarsa attenzione con la quale sono stati effettuati gli interventi di ristrutturazione ed anche per una disattenta scelta dei materiali. Stupisce sempre constatare come il nuovo possa soppiantare ogni cosa compreso l'affetto verso il passato. In fin dei conti gli edifici rappresentano ciò che rimane delle attività e della presenza di generazioni di donne e di uomini che fra quelle pietre, con la loro presenza, sofferenza, lavoro e fatica, hanno contribuito a costruire la piccola storia di questo villaggio.

La Soprintendenza competente ha sempre posto, come è giusto che sia, una serie di vincoli sull'edificio specialmente per la zona presso la quale si trovano gli affreschi, ma nel contempo i proprietari non si sono mai visti accreditare alcunché in forma di contributo. L'azione del tempo provoca da sola dei guasti ai quali però si devono aggiungere quelli derivanti dalla posizione geografica. In questi decenni si sono susseguite stagioni più o meno clementi ma i lunghi inverni e l'azione di vento, neve e ghiaccio sono letali soprattutto se scarseggiano le opere di manutenzione.

Avviciniamoci al Rociass e proviamo ad entrare in sintonia con la sua storia.

L'analisi della dislocazione edificio come oggi si presenta, necessita di alcune puntualizzazioni. Occorre infatti distinguere tre nuclei di formazione. Il primo è quello riguardante la parte costruita nel XVI Secolo, il secondo quello costituito dal nucleo centrale identificabile con la zona degli affreschi (XVII-XVIII Secolo) ed infine quello comprendente gli edifici costruiti negli anni intorno all'Ottocento.

Faticosamente la mulattiera dal fondo valle conduceva verso il Pian delle Mussa. Giunti nel territorio di Balme, il terreno per un primo tratto si mostrava abbastanza pianeggiante e soltanto verso la montagna si scorgeva un restringimento proprio dove c'era la borgata. Il cammino era accompagnato sulla sinistra dallo scorrere delle acque dello Stura e mentre si procedeva il rumore aumentava di intensità quasi a voler mettere in guardia il viandante. Più ci si avvicinava al paese e più il rumore aumentava. Si era infatti prossimi alla cascata. Anche la salita si faceva più dura ed occorreva inerpicarsi su una mulattiera sempre più stretta. Giunti a questo punto chiunque si fermava un momento. Serviva per sistemare meglio il carico che aveva sulle spalle, per assicurarsi che chi lo seguiva non fosse in difficoltà prima di affrontare l'ultima ripida salita. Vogliamo pensare che ognuno, scostando un poco il copricapo od il foulard per vedere meglio, partisse con lo sguardo dalle solide rocce che aveva davanti e poi lentamente scorresse tutta la facciata sino in cima dove si trovavano le piccole finestre e la facciata si stagliava minacciosa. Bisognava passare proprio vicini allo spigolo della base dell'edificio per accedere alla borgata, passaggio obbligatorio anche per chi saliva alla Mussa.

Ancora oggi è possibile vedere i luoghi descritti anche affacciandosi semplicemente dal bordo della strada e guardando verso il Fiume.

La mulattiera in questo punto conduceva nell'agglomerato del paese da dove si scorgevano gli stretti passaggi fra le case. Ci si trovava in questo punto a pochi passi dal cuore del Rociass. Presso una minuscola piazzetta si potevano ammirare gli affreschi e qui si trovava la piccola chiesetta di Santa Maria della Visitazione. La chiesa, ancora rilevata dalla Mappa Rabbini nel 1898, è stata demolita nel 1909 con la necessità di rendere più agevole la mulattiera. Altri edifici furono completamente o parzialmente abbattuti sino a giungere alla situazione attuale con i lavori di ampliamento del 1956 che trasformarono il tracciato rendendolo completamente carreggiabile.

Oggi transitando su questa strada si perde ogni suggestione che un lento avvicinamento trasmetteva a chi saliva a piedi sotto il Rociass che dominava la vallata.

Volgendo l'attenzione alla parte più antica della costruzione, emergono dati interessanti anche a riguardo della distribuzione interna degli ambienti. Gli studi sulla razionale dislocazione dei vani sono senz'altro recenti, eppure, nel Rociass di Balme, molti concetti legati alla funzionalità distributiva dei locali sono già utilizzati.

Percorrendo la mulattiera, dopo essere transitati sotto il minaccioso frontone, si giunge nei pressi di un passaggio sotto la Casa che dà accesso ad un imponente scalone. Questa gradinata, costruita con grosse pietre, permette di superare il dislivello tra il piano strada ed il piano delle abitazioni conducendo ad un corridoio che a sua volta, dà accesso ai loggiati ed alle varie unità abitative.

I loggiati costituivano assieme alla scala, al corridoio ed alla piazzetta interna, le parti comuni dell'intera costruzione.

 

3.1. La distribuzione interna

L'accesso allo scalone (1) risulta oggi compromesso in seguito ai lavori su una proprietà privata e reso anche meno visibile dal lavatoio pubblico che è stato costruito in cemento a vista soltanto qualche decennio or sono. Sulla destra, all'imbocco della rampa, si trova un primo vano sicuramente utilizzato come deposito temporaneo di attrezzi; è di piccole dimensioni e di altezza intorno al metro e mezzo può anche aver ospitato piccoli animali ma la sua caratteristica peculiare rimane quella di magazzino. A circa metà dell'unica rampa si trova sulla sinistra una porta con l'architrave molto basso. Per entrare occorre chinarsi e si accede ad un vano destinato al ricovero di piccole greggi. Quando si giunge in cima allo scalone ci si trova nella quasi esatta mezzeria del corridoio.

Il corridoio, (2) viste le proporzioni di tutto rispetto di circa due metri per due metri e mezzo di sezione, serviva indubbiamente al passaggio anche di ingombranti carichi portati sulle spalle con gerle e cabasse. L'enorme spazio a disposizione nel sottotetto dell'edificio era infatti destinato ad ospitare grandi quantità di fieno. Il colmo del tetto in lose della copertura si trova proprio sulla proiezione del corridoio in posizione longitudinale all'edificio. L'accesso al solaio si trova in fondo al corridoio.

I loggiati (ampie balconate aperte) (3) godono di uno splendido affaccio sulla Stura con un suggestivo strapiombo di parecchi metri. Questa parte è sicuramente quella più carica di significati. Il senso di dominio sulle cose e sulla natura che qui si prova è assoluto. Le possenti strutture danno un inequivocabile senso di sicurezza mentre la quasi totale assenza di protezioni (un paio di tronchi di sezione uniforme collocati come ringhiera) lasciano immaginare come in questo luogo non si debba temere alcunché di negativo né proveniente dagli uomini né proveniente dalla natura. Tuttavia, pur essendo all'interno di un ambiente costruito, si prova un notevole senso di compenetrazione con l'esterno e la propria figura viene ridimensionata assumendo un ruolo di comparsa. Le suggestioni che si possono provare oggi sono sicuramente le stesse di un tempo ed è proprio in questo punto che il fondatore ha inciso una pietra incastrata nel muro che reca il suo nome e la data di ultimazione dei lavori.

Sopra il loggiato al quale si accede direttamente dal corridoio, se ne trova un secondo di uguali dimensioni. Le pavimentazioni dei due ambienti aperti verso l'esterno sono formate da assi in legno larghe venti-venticinque centimetri sorrette da una robusta orditura in tronchi di sezione regolare intorno ai trenta centimetri di diametro.

Una piccola finestra rivolta verso valle veniva utilizzata sicuramente per l'avvistamento e la sorveglianza. L'apertura è sormontata da un tronco che funge da ripartizione dei carichi secondo la tipologia delle costruzioni montane che utilizzano i materiali più facilmente reperibili sul posto come appunto la pietra ed il legno.

Dal loggiato si scende attraverso una ripida ed insidiosa scala (4) per metà scavata nella roccia in due ambienti comunicanti. Entrambi i vani hanno delle aperture abbastanza grandi ed un balcone che si affacciano verso la mulattiera che si trova sul lato opposto. Pare che sia in una di queste stanze che la leggenda vuole che il Gioanni Castagnero-Ljinch battesse moneta. La fantasia popolare giustificava con l'attività della zecca clandestina le enormi fortune che il Ljinch riusciva ad accumulare.

Sempre dal loggiato si accede ad un vano di forma abbastanza regolare che ha come muro principale quello del frontone dell'edificio.

Ritornando verso il corridoio ci si trova di fronte all'ingresso di una unità composta da quattro vani (5), uno di questi è veramente di imponenti dimensioni ed è esattamente di fronte all'ultima alzata dei gradini dello scalone. Si può pensare che questi locali, insieme a quelli descritti poco sopra, costituissero la residenza di Gioanni Castagnero. In questi ambienti visse un Castagneri detto Péro 'l Ros ed ancora sono in molti a ricordarlo, che condivise con l'antenato non solo il nome e l'abitazione ma anche una genialità espressa attraverso la realizzazione di piccoli e curiosi oggetti d'uso quotidiano.

Ricostruire la vita di quattro secoli fa all'interno del Rociass non è certo possibile. Le leggende nate attorno alla figura del suo fondatore e la struttura stessa sono comunque in grado anche oggi di solleticare la fantasia degli abitanti di Balme e di chiunque si accosti o si addentri all'interno della costruzione.

Dal corridoio giunge ad altre unità abitative. Anche se alcuni interventi sulle murature originali risultano evident

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