I misteri di Ratbox

vittoria fauro

Lasciate che mi presenti, visto che il mio nome sarà sconosciuto ai più.

 

Niente a che vedere con la notorietà del mio collega più illustre, chi non ha mai sentito parlare di Geronimo Stilton ? Certo che quel topastro da quattro soldi si è venduto bene, non c'è che dire. E si che in fatto di misteri risolti io non sono da meno, anzi, direi che a ben guardare ne ho risolti di ben più complessi di quelli che dice di aver risolto lui. Sul fatto di scrivere poi, anche se non sono direttore di un giornale non è che me la cavo poi male. Certo, dirigere un giornale aiuta a farsi conoscere al grande pubblico, non nego che se mi fossi preoccupato di più della mia immagine forse ora avrei anche io gli scaffali delle librerie pieni delle mie avventure, ma tant'è, ognuno insegue i suoi sogni e io preferisco dedicarmi a risolvere i misteri, anche a costo di restare nell'ombra.

 

Quello che voglio raccontarvi oggi è un mistero che mi attanaglia da anni, che a più riprese ho pensato di aver risolto e invece mi trovo ancora qui a cercare di trovare il bandolo della matassa.

 

La questione è questa.

 

Sono anni e anni che per una ragione o per l'altra percorro la strada del Colverso a zampette. Avete presente qual è ? E' quella deliziosa stradina che attraversa un bosco e collega il centro del borgo di La Cassa all'omonima regione. Una stradina meta di passeggiate in tutte le stagioni, essendo senza sbocco il traffico dei pochi abitanti permette di percorrerla in tranquillità. E' stata spesso la prima uscita di molti neonati. Comunque, non voglio divagare. Si, questo in effetti è sempre stato un po' un mio difetto, me lo diceva sempre Geronimo quando eravamo compagni di corso alla scuola di giornalismo: la sintesi, Girolamo, ricordati, ci vuole sintesi. La gente è pigra, non legge più di due paragrafi con attenzione.

 

Sarà, magari alla fine mi toccherà pure dagli ragione.

 

La strada del Colverso, dicevo. A piedi. In tutte le stagioni. C'è sempre qualcosa di nuovo da osservare. Le prime gemme a primavera, i fiori, fragole e castagne da raccogliere. I sacchetti delle patatine. Quello mi ha colpito, parecchi anni fa. Una serie sistematica di pacchetti di patatine vuoti gettati sul ciglio. Con una maggiore concentrazione lungo un tratto. Allora ho cominciato a fare congetture per cercare di individuare il o i colpevoli. Ho immaginato qualche ragazzino che torna da scuola, scende dal pullman e si compra un sacchetto di patatine che mangia lungo la strada tornado a casa. E finito lo butta. Sistematicamente. Giorno dopo giorno. Ogni tanto una giornata ecologia faceva piazza pulita dei rifiuti più evidenti. Ma lui o loro, imperterriti, ricominciava. Ho provato a fare degli appostamenti, ho coinvolto qualcuno dei miei informatori, in fondo, mi dicevo, il cerchio si stringe facilmente: la fascia di età non può essere estesa, se abita o frequenta il Colverso, sicuramente la o lo avrò incontrato. Se indago nei negozi magari riesco ad individuare i consumatori abituali di patatine. Insomma, le ho escogitate tutte, ma niente, non appena mi sembrava di avere in qualche modo capito, ecco che qualcosa andava storto ed il colpevole si faceva più sfuggevole.

 

La questione rimasta in sospeso mi dava un certo nervosismo...

 

Intanto il tempo passava, ho cominciato a vedere lattine di bibite invece delle patatine, e poi ancora, con il trascorrere degli anni, bottiglie di birra.

 

Nella mia frustrazione di non riuscire a risolvere il caso ho ad un certo punto sperato che almeno, chiunque fosse, si trasferisse. Magra consolazione, mi dicevo, ma sempre meglio che non avere tutti i giorni sotto gli occhi questi segnali di inciviltà... Poi mi dicevo: se è arrivato alla birra sarà anche in età di patente, se prende la macchina avrà meno occasioni di abbandonare i rifiuti lungo la strada.

 

Invece hanno cominciato a succedere fatti ancora più inquietanti. Hanno preso a sparire i paracarri.

 

Si, quei bei paletti bianchi con la testa nera e i catarifrangenti rossi e bianchi. Sulle prime sembrava un caso, qualcuno che distrattamente lo aveva colpito. Invece ad una più accurata indagine, e in questo, permettetemi, sono un vero segugio, i paracarri erano sistematicamente rimossi dalla loro sede e buttati qualche metro più in là, oppure giù dalle rive.

 

La faccenda cominciava a farsi davvero seria: ma quale mente poteva concepire un passatempo così perverso ?

 

Mi aggiravo spesso pensieroso lungo la strada, mentre raccoglievo e sistemavo i paracarri lungo il cammino.

 

Ho pensato di organizzare delle battute, oppure mettere delle trappole. Ma niente, del misterioso ladro di paracarri non c'era traccia.

 

Passavano gli anni e ancora una volta dovevo arrendermi all'evidenza: non ero in grado di venirne a capo.

 

Avevo un bel dirmi che intanto avevo risolto molti altri casi, spesso più difficili e complessi, che nel mio ambiente mi consideravano un investigatore davvero in gamba: ogni volta che incontravo Geronimo tra un convenevole e l'altro me la buttava sempre lì. Ma quella faccenda delle patatine, poi com'è andata a finire ? Accidenti a lui, ogni volta mi prendeva un crampo allo stomaco che dovevo correre a cercare del formaggio per farlo passare.

 

Poi, poco tempo fa, ho creduto di essere finalmente giunto ad una svolta.

Sono sparite le panchine.

 

Si, proprio le due panchine che stavano nello slargo prima della salita. Appena l'ho saputo sono corso a vedere. Non potevo credere ai miei occhi. Non solo le panchine, anche il porta bici era sparito. Stavolta, mi sono detto, non posso di nuovo fallire. Due panchine non si nascondono sotto una zampa.

 

Qualcuno deve pur aver visto qualcosa. E poi il corso che avevo seguito con grandi sacrifici sulla psicologia delle menti criminali mi tornava finalmente utile per tracciare un profilo del mio potenziale colpevole.

 

Era chiaro che si trattava di un crescendo, un processo iniziato in giovane età che via via con gli anni portava ad un aumento delle dimensioni dell'oggetto in questione. Sempre più grande, sempre più distante. L'istinto mi diceva che se i paracarri erano lanciati giù per le rive le panchine simbolicamente dovevano essere finite più giù, molto più in basso e lontano.

 

Ma come fare a trovarle ? Non potevo certo mettermi da solo a passare palmo a palmo ogni centimetro di bosco da lì fino al fiume.

 

In ogni caso, non volevo rinunciare. Godevo di un certo credito tra i topi di rudere, alcune colonie che vivevano isolate tra gli ammassi di pietre che una volta costituivano il vecchio borgo. Erano dei grandi clan pieni di ogni sorta di topaglia, attaccabrighe e farabutti, ma mi dovevano alcuni favori e questa volta avevo deciso di usare tutti i mezzi possibili per risolvere il caso. Così ho messo in giro le voci giuste nei posti giusti, sapevo quali zone erano soliti bazzicare e senza dare troppo nell'occhio, anche loro ci tengono a non far sapere certe frequentazioni, li ho sguinzagliati alla ricerca delle panchine.

 

Non ci è voluto molto perché una sera mi arrivasse la soffiata giusta. Qualcuno aveva parlato.

 

Così all'alba sono partito di soppiatto per verificare. Avevo appuntamento con il mio contatto, mi aveva mandato a dire che sapeva bene come erano andate le cose. Finalmente, era giunto il momento di conoscere la verità, non vedevo l'ora. Troppi, troppi anni a cercare inutilmente. Mi pregustavo già la soddisfazione.

 

C'era un po' di nebbia quando sono arrivato alla fontana del basso, l'umidità della notte non ancora dissolta. Ho sentito come un urlo soffocato, poi un fruscio tra gli alberi verso nord. Il cuore mi batteva forte e le zampe un po' mi tremavano. Appena girata la curva le ho viste, erano lì, come mi avevano detto, incementate al terreno. Nessuna traccia del mio contatto, solo una piccola macchia rossastra sugli scalini che scendono alla sorgente e una voce che proveniva da dietro il pilone: qui non troverai nessuno...non c'è più nessuno.

 

Con due balzi ero già oltre la strada di fronte al pilone: non c'era anima viva. Voltavo lo sguardo intorno e tutto era immobile, non un suono, un rumore. Un silenzio surreale mi stava avvolgendo come un bozzolo, mentre nella mente si stava facendo strada la consapevolezza che per l'ennesima volta avevo perso l'attimo e con questo l'unica speranza di scoprire la verità. E mentre strizzavo gli occhi per combattere il controluce, un lampo di stupore mi aveva attraversato il cervello: era sparita anche la madonna col cappello di paglia. Ma questa, in effetti, è tutta un'altra storia...

 

 

 

 

 

Girolamo Sensout

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