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Papaveri, papere, pirati e partigiani


Che ci fanno un inglese (il giorno prima a colloquio con Cameron ,primo ministro inglese, e Tim Barners Lee, il 'padre'del web), un canadese (che ha vinto l'appalto del cloud di data.gov, il più grande progetto si trasparenza americano) e un greco della London School of Economics (che progetta i sistemi dei dati governativi di Inghilterra e Grecia) in questo strano punto di Torino?



Aspettano i pirati!







Sembra una barzelletta, ma è quello che è successo stamattina a Torino.

Il pirata non è mai arrivato, era, anzi una piratessa: Amelia Andersdotter, del partito pirata svedese e membro del parlamento europeo (guardate qui le foto: non vi sembra di essere nella saga di Millennium di Larssen?)

Non è mai arrivata, a causa di imprecisati problemi logistici (nello stempo Assange, quello di Wikileaks, concedeve una intervista in live streaming sul sito di Guardian che ha crashato tutti i server a causa delle troppe connessioni.)

I tre erano: Rufus Pollock – Member of the UK Government's Public Sector Transparency Board (UK), Reuven Cohen – Founder & CTO, Enomaly Inc. (Canada) Prodromos Tsiavos – London School of Economics (UK)



Potrebbe essere l'inizio di un giallo; è stato invece l'avvio di una delle più interessanti conferenze dell'anno, la conferenza Opendata: dati, conoscenza, valore che si è tenuta oggi all'Environment Park, quel pezzo di Torino che è nel futuro così tanto che l'ambiente non è ancora pronto: escavatori e camion stanno preparando il parco che ci sarà intorno.



Non mi dilungherò sui contenuti, che m'hanno tenuto inchiodato per tutta la giornata; vorrei solo comunicarvi qualche sensazione che mi ha sfiorato leggera quando dall'etero olimpo degli opendata (ah, i voli pindarici) scendevo vicino alla cruda realtà.



Innanzitutto la sensazione di aver perso un treno. Anzi, più di uno. Il resto del mondo è cresciuto, in questi ultimi vent'anni, e noi siamo rimasti al palo, o quasi. La raffinatezza dei discorsi delle municipalità inglesi (si sono messi insieme in 134 per diffondere i dati in modo trasparente: stipendi, spese, piani regolatori, tutto) impallidisce di fronte al nostro ventilato e futuribile discorso di iper-comuni, e ci fa dire che chi li pensava vent'anni fa era sulla buona strada.



Quindi il fondamentale discorso sulla trasparenza dei dati: altrove c'è la certezza che i dati delle pubbliche amministrazioni vanno pubblicati in modo semplice, gratuito, aperto: perchè qualcuno li prenda e li organizzi ,e magari ci faccia anche del business; è un modo per stimolare l'economia. E' un modo per esprimere un concetto semplice: per anni i grandi potentati, capitalistici o semplicemente governativi, ci hanno tenuti schiavi perchè possedevano il potere, ben nascosto nelle loro conoscenze che non venvano condivise. Oggi il tempo è passato: power to the people, potere al popolo come cantava John Lennon. Si è passati dal right to know, il diritto di sapere, al need to know, il bisogno di sapere.

L'amministrazione cioè non deve solo essere in grado di rispondere velocemente, gratuitamente ed in modo aperto a ciò che i cittadini chiedono; deve essere proattiva, cioè deve inglobare in sè i meccanismi per fornire questi dati ai cittadini prima che li chiedano, in modo che appena ne hanno bisogno li possano avere.

(Mi ricorda un discorso simile, anzi uguale, che avevo fatto per l'Associazione lcuppt. Soprassiedo).



In altri paesi questa guerra c'è stata ed è stata vinta dai cittadini che hanno una classe dirigente che, per lo meno, queste cose le capisce, e mette in opera il processo di trasparenza come motore del cambiamento. Queste guerre hanno partorito la direttiva INSPIRE a livello europeo che oggi tutti gli stati devono recepire; l'Italia l'ha fatto e il Piemonte è la prima regione a fare effettivamente qualcosa (dati.piemonte.it). Un altro bell'esempio è openpolis o openparlamento, due progetti che oggi sono stati presentati dei quali stupisce la linearità di pensiero, e di realizzazione. Paradossalmente i partiti politici si rivolgono a loro per sapere dati su loro stessi, sembra una logica disegnata da Escher.



Queste guerre che ci sono state partivano da un presupposto: dobbiamo liberarci della prepotenza di chi crede che, per il fatto di essere in una posizione di potere, si arroga diritti che limitano la mia libertà: è una lotta di liberazione, fatta da spiriti liberi che agiscono per il bene comune.



E qui entrano i partigiani (squilli di tromba! Bella ciao, bella ciao...).

Il discorso che avevo sentito da parte dell'ANPI il gennaio scorso a Traves mi aveva stupito proprio per la declinazione al presente dell'ideale partigiano: per l'applicare all'oggi e all'adesso (libertà di stampa, immigrazione, legge elettorale) le stesse istanze che hanno spinto i partigiani, e i vecchi delle valli, ad agire. Mi sono iscritto all'ANPI per questo: perchè ho assaporato la stessa aria fresca che sento in questi convegni internazionali, la stessa dinamicità dell'animo e del cuore che declina valori senza tempo nel qui e adesso.



Ma davvero qualcuno ha pensato che io volessi paragonare criminali informatici ai partigiani? Offendete quei quattro neuroni che sono rimasti imapazziti a roteare nel vuoto spazio tra le orecchie (e che, da allora, sbattono la testa contro le tempie vaneggiando di prepensionamenti) e confermate che sì, veramente non sono capace di spiegarmi, scrivo in modo osceno se questo è il messaggio che ho passato. Volevo andare ben oltre e speravo di condividere con voi ben altri pensieri.

Devo far tesoro e  imparare parecchio da quant'è successo.



A volte mi sento un po' nauseato dalla retorica del partigiano, del cippo, del freddo inverno scarpe rotte eppur bisogna andar. Mi sembra quasi che se ne faccia un feticcio da adorare, un qualcosa che manco va nominato con una parola vicina che abbia un significato negativo, quantomai la parolaccia hacker, ossignoreiddio chemenescampieliberi e cosissia.

Il partigiano, denudato dello spirito per il quale ha combattuto, non vale niente.

Su questo, sparatemi pure a zero.

Tendere imboscate, fare una guerra asimmetrica, rischiare di fare uccidere per rappresaglia i propri compaesani non ha nessun senso etico, alto o nobile se lo spogliate delle motivazioni per cui poteva essere fatto, per cui poteva essere un gesto estremo che ne vivificasse il senso e che lo portasse avanti fino ad oggi, fino al cippo che ce ne ricorda la storia.

In quel cippo non vedo freddo, sangue, morte e disperazione: vedo speranza, vedo ideali, vedo persone che oggi combatterebbero contro i soprusi che il mondo in cui viviamo presenta.

In quel cippo posso trovare gli occhi, l'orgoglio, la vita, la voglia di darsi per il bene comune. Non vedo la morte, il freddo, la guerra: quelli sono stati, purtroppo, mezzi.



Ed in questo sento un senso profondo nell'ANPI.

Nel feticcio del ricordo dell'Eroico Partigiano vedo poco, mentre nel trasmettere lo spirito dei partigiani ai ragazzi di oggi mi si palesa il senso alto di una missione che rende giustizia dei sacrifici di uomini giusti; di uomini che, come abbiamo più volte qui ripetuto, combattevano dalla Parte Giusta (maiuscole comprese).



Fate un atto di fiducia nei miei confronti se vi dico che negli occhi di molti (cosidetti) hacker ho visto quello spirito, e se sostengo che il partito pirata ha qualcosa di partigiano non buttate il tavolo all'aria stracciandovi le vesti e guardandomi schifati. Chiedo rispetto, lo stesso che ho nel leggere le vostre ragioni.

Ho i quattro neuroni sensibili: non me li fate girare troppo.



* * *



Tornando ai convegni sulla trasparenza dei dati pubblici, i curiosi hacker spesso vengono introdotti da politici importanti che subito scappano dopo i saluti perchè hanno impegni urgentissimi; sapessero questi alti papaveri, quante papere si fanno di fronte al mondo intero, chissà che ne diranno i pirati quando torneranno in patria a riprendere le loro attività di curiose incursioni nei dati, forse incursioni un po' partigiane...



Noi intanto, stiamo al calduccio nelle nostre belle convinzioni; quelli invece sono lì, al freddo dei licenziamenti dietro l'angolo, dell'infamia alla quale anche voi avete contribuito non distinguendoli dai delinquenti, a combattere anche per le vostre libertà che pensate siano inattaccabili.

Per chi non se n'è ancora accorto, i campi di concentramento ci sono, qui e adesso; sono un po' cambiati, sembra sia rimasto di uguale solo lo slogan 'Arbaich mach frei'



Come i tedeschi, anche voi un giorno potrete dire che non avevate visto niente, che non ve ne eravate accorti.



Se quel giorno io ci sarò, non riuscirò a far star zitti i miei quattro  neuroni.

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