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Parola di Norberto Bobbio
Il Consigliere Giovanni Nepote












Nei giorni scorsi ho inoltrato la lettera revisionista pubblicata sul periodico comunale al Prof. Michelangelo Bovero, Professore Ordinario presso la Facoltà di Scienze Politiche (dove insegna Teorie della Giustizia e Concetti Politici Fondamentali), che personalmente ho avuto la fortuna di avere come docente presso la Scuola della Buona Politica a Torino, di cui è fondatore.



 



Mi ha risposto –e gliene sono grato- mandandomi queste pagine di Norberto Bobbio, che invito tutti a leggere e a far leggere.



 



 



 



 


“Caro Giovanni,

mi ha fatto piacere leggerti, molto meno quel che mi racconti (...) ti rispondo a proposito del revisionismo micro-locale che ti ha toccato, manifestazione puntuale della diffusione del virus degenerativo che infetta la nostra cattiva (anzi, pessima) politica trionfante. (...)  Il mio consiglio, è di far conoscere, anche attraverso il vostro sito, ma forse anche attraverso la lettura nelle scuole, queste poche pagine di Bobbio che ti trascrivo nell'allegato.”







Brani tratti da: Norberto Bobbio,
Dal fascismo alla democrazia, Baldini & Castoldi, Milano 1997

 

 

Con le manifestazioni del 26 luglio si chiude definitivamente il fascismo come regime. Finisce per non più risorgere, se non nella forma del governo provvisorio della Repubblica di Salò, longa manus di Hitler in Italia, già destinato alla sconfitta prima di nascere. Ma la fine del fascismo non fu la fine della tragedia italiana e della sua tremenda eredità. Fu anzi l'inizio di una nuova guerra più aspra, più feroce, anche fratricida, combattuta città per città, villaggio per villaggio, casa per casa, su tutte le nostre strade, nelle nostre campagne, nelle valli, sino ai più alti valichi delle nostre montagne. Fu la guerra, da una parte, dell'ignominia, dall'altra, del riscatto nazionale, attraverso la quale l'Italia ha dato un contributo, che non sarà dimenticato e di cui ci onoriamo, alla resistenza europea.


[p. 135]


 

 

E' giusto che fascismo e nazismo siano uniti nella stessa condanna storica. Una condanna definitiva, senza appello. Qualche volta il tribunale della storia concede una revisione del processo, ma nei riguardi del fascismo la sentenza data è una di quelle, come dicono i giuristi, passata in giudicato. Dico subito che quando parlo del tribunale della storia non mi riferisco a quel giudice supremo che dà la sua sentenza soltanto in base al fatto compiuto e dà ragione a chi vince. Voglio dire che il giudizio negativo sul fascismo non deve dipendere dal fatto che sia stato sconfitto: c'è vittoria e vittoria, c'è sconfitta e sconfitta. Non si può confondere la sconfitta del popolo inerme conquistato dal potente vicino, con la sconfitta del prepotente che si crede investito da un dio ignoto e crudele del diritto di dominare il mondo. Per il tribunale della storia le due sconfitte si equivalgono e chi perde ha sempre torto. Ma per il tribunale che giudica in base alla suprema legge del bene e del male, no!

Abbiamo imparato tutti a scuola i famosi versi con cui si chiudono i Sepolcri: «E tu onore di pianto, Ettore, avrai, ove sia santo e lacrimato il sangue per la patria versato». Queste parole valgono per Ettore, non valgono quando lo sconfitto è lo stesso prepotente aggressore. In questo caso, ma soltanto in questo caso, la sentenza della storia coincide con la sentenza della coscienza morale. E quando c'è questa coincidenza la sentenza di condanna è veramente definitiva.

Senonché, altro è il giudizio della storia, altro il giudizio dello storico, degli storici. Il compito dello storico non è quello di giudicare e tanto meno di fare giustizia. Il compito dello storico è quello di capire come sono andate le cose, perché è accaduto quello che è accaduto. Solo così del resto si possono aiutare quelli che vengono dopo a evitare gli errori, se errori ci sono stati, e a seguire le vie giuste, se vie giuste si possono intravedere. Si parla spesso, anche a sproposito, della lezione della storia. Ma la storia dà lezioni solo a chi riesce a interrogarla, spregiudicatamente, a scandagliarla con la paziente analisi dei fatti, a illuminarla con il lume della ragione. Non è poi detto che la lezione sia seguita. Ma ciò nonostante non possiamo rinunciare a capire, a tentare di dare una spiegazione che faccia di una serie di avvenimenti apparentemente casuali un insieme ben ordinato, e attraverso la spiegazione di quello che è accaduto di prevedere quello che accadrà.

Del fascismo ci sono state le più diverse interpretazioni; non è il caso di riprenderle ancora una volta. Quale che ne sia l'interpretazione, il fascismo oggi ci appare sempre più, questo è il mio fermo parere, come uno stato di eccezione. Come tale, irripetibile. Parlando di stato di eccezione voglio dire che le circostanze che gli hanno dato origine sono tanto numerose e complesse che ogni interpretazione unilaterale e ideologicamente pregiudicata rischia di essere sbagliata.

Numerose e complesse: lo sconvolgimento del sistema tradizionale di valori prodotto dalla più grande carneficina mai avvenuta prima di allora; lo spirito bellicoso alimentato dalla guerra e diventato abito quotidiano di un'intera generazione, la generazione uscita dalle trincee; l'apparizione di capi carismatici (di tutti i fenomeni di quegli anni certamente il più difficile da spiegare); soprattutto la grande paura, la grande paura della rivoluzione, della sovversione che unì in una alleanza ibrida e tenace le forze sociali più diverse, la piccola e la grande borghesia contro l'imbelle democrazia, considerata il cavallo di Troia della sovversione. Tanto numerose e complesse da generare un rivolgimento che al di fuori di quelle circostanze è inconcepibile. Ripeto, irripetibile nella sua unicità.

Tra l'altro io non credo neppure nell'altra teoria interpretativa del fascismo secondo cui il fascismo sarebbe stato la rivelazione dei mali tradizionali dell'Italia. Lo si può dire forse dei primi anni del fascismo, ma non degli ultimi: non c'è nulla di più contrastante con l'anima italiana della forzata irreggimentazione, della militarizzazione sino al grottesco del passo dell'oca e del razzismo.

Tutti ricordano che, a proposito del colpo di stato di Luigi Napoleone, Marx scrisse che gli avvenimenti storici si ripetono due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa. Il fascismo non si può ripetere perché fu insieme tragedia e farsa. Convissero fianco a fianco il tribunale speciale e il salto nel cerchio del fuoco, le bastonature ai renitenti e la proibizione della stretta di mano, la persecuzione degli ebrei e l'obbligo di uscire nei giorni comandati con le divise d'orbace e i gambali, l'odio per i paesi più civili («Dio stramaledica gli inglesi») e gli otto milioni di baionette; un fondo oscuro di atavica barbarie e l'esaltazione dell'impero e le quadrate legioni, la sguaiataggine del linguaggio di un Farinacci o di uno Starace e la spettacolarità pomposa delle grandi parate; la disfatta ignominiosa in Sicilia e il discorso del bagnasciuga. No. Il fascismo non si può ripetere. Ha consumato insieme, in una sintesi inimitabile, lo spirito della tragedia con quello del balletto. Un balletto che ha reso ancor più fosco e truce il finale di morte.

Quando dico che il fascismo storico non può più tornare, non intendo dire che la storia umana sia avviata verso un radioso avvenire. Altre sofferenze, forse ancora più grandi, ci attendono. Intendo soltanto esprimere un giudizio storico con quel distacco che viene dagli anni trascorsi, dalle passioni sedate, dagli odii sopiti, dai risentimenti superati e dalla consapevolezza che le prove che dobbiamo superare per non soccombere, noi e tutti, sono altre. Il fascismo è morto e non c'è celebrazione che possa farlo rivivere o anche soltanto rimpiangere. Ma se il fascismo è morto non dobbiamo dimenticare che dalla morte del fascismo ha iniziato la sua vita la democrazia italiana che è ormai, nel bene come nel male, il nostro destino. La sopravvivenza della democrazia, non è per noi soltanto una scommessa, ma un fermo impegno per l'avvenire.


[pp. 137-40]











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