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Barmes News n. 34


 BARMES NEWS                                         











Luglio 2010 num.34 numero 34


numero 34




                                ieri,oggi,domani


Alla scoperta del nostro villaggio


 


 


 


 


 



 


1610-2010          Quattrocento anni di Balme


 



 


 


 











Realizzato a cura del Comune di Balme (TO), scaricabile dal sito web: www.comune.balme.to.it


Inviare gli articoli all'indirizzo mail: gianni.castagneri@libero.it


 




Inviare gli articoli all'indirizzo mail: gia                                     


 


Il compleanno del Comune


di Gianni Castagneri


 


“La tradizione è tramandare il fuoco, non adorare le ceneri.” Gustav Mahler.


Vogliamo aprire il nostro notiziario con questa asserzione che riteniamo in questo momento emblematica.


Il raggiungimento dei quattro secoli di storia comunale, non è solo il conseguimento di un ambìto traguardo, ma è principalmente la tappa di un percorso che è molto più lungo. Troppe volte chi legge dei fasti passati del paese, è tentato dal sostenere che un tempo, più o meno lontano, fosse tutto migliore.


Se invece di limitarci alle sensazioni andiamo ad esaminare gli eventi passati, scorgiamo invece, specie negli ultimi 150 anni, cicli oscillanti in cui si rincorrono periodi luminosi ad altri più sfavorevoli. E sullo sfondo di tutto, lo scorrere lento e faticoso di vite semplici, molto spesso gravate da ristrettezze quotidiane e da avversità incredibili.


Analizzando a fondo la storia passata, ci accorgiamo che spesso la ripresa dopo i periodi difficili, non è solo l'effetto di congiunture favorevoli, quanto piuttosto il risultato di sforzi comuni indirizzati e guidati da interpreti esemplari della loro epoca che solo il tempo riesce a collocare in una giusta luce. Figure abili nel rilanciare la propria vita e quella della comunità di appartenenza, capaci di sforzi straordinari nei momenti difficili e preparati a condurre i processi nei momenti di maggior fortuna.


Il tempo trascorso deve soprattutto essere un patrimonio a cui attingere per immaginare e disegnare il futuro. Occorre comprenderne gli errori per evitare di ripeterli, ma è bene vedere le opportunità migliori per svilupparle.


Oggi che a Balme vivono i proverbiali quattro gatti, bisogna aver la capacità e la forza di proseguire gestendo al meglio le risorse economiche e umane a disposizione. E' indispensabile che ognuno di noi, abitante, villeggiante, turista o semplice sostenitore che sia, metta in azione tutte le energie e capacità per ottimizzare gli sforzi e moltiplicare i risultati.


Come dicevamo all'inizio non limitiamoci a venerare quello che ci sta alle spalle ma, senza dimenticare, rendiamoci degni della nostra storia progredendo verso un futuro che sia possibilmente ricco di soddisfazioni.


E intanto cominciamo a far qualcosa, anche semplici cose.


Iniziando dal prenderci cura del nostro paese. Quello che ammiriamo spesso degli altri luoghi di montagna non è altro che un po' d'ordine, l'erba tagliata e i fiori sul balcone. Certo non è tutto, ma visto che il turismo è più o meno direttamente una buona risorsa per l'economia del paese, agiamo perché quello che ci appartiene non sia solo bello per noi, ma sia anche piacevole per gli altri. Ingegniamoci per fare in modo che quello che lasciamo ai nostri figli sia un po' meglio di come lo abbiamo trovato.


Un detto balmese dice: “Qui q'ou l'at poei at fàri par i auti ou fàit nhianca par quial”. Chi ha paura di fare per gli altri non fa neanche per sé stesso. E un altro delle valli occitane sostiene: “Chi rinuncia a lottare per ciò che ama, si accontenta di amare ciò che ha”.


Dunque non chiudiamoci nei nostri stretti recinti, abbandoniamo i pregiudizi e schiudiamoci al domani con convinzione. Prendiamo ispirazione dagli altri per intraprendere un nostro percorso. Un cammino che sappiamo complicato e in ascesa. Ma che siamo certi, come avviene dopo la salita di un irto sentiero, saprà serbare la sorpresa di uno splendido, incancellabile scenario.


 







Antiche strutture abitative a Balme (Prima parte)


di Roberto Drocco


 


Estratto da Miscellanea di studi storici sulle Valli di Lanzo, in memoria di Giovanni Donna d'Oldenico, a cura di B. Guglielmotto-Ravet, Lanzo Torinese, Società Storica delle Valli di Lanzo - L, 1996.


 


Introduzione


Castelli rupestri, fortificati, ricetti, caseforti, borghi franchi e nuovi, riportano la memoria all'affascinante periodo medievale. È in questa fase storica che il castello assume le forme fiabesche e fantasiose ricche di torri merlate e facciate affrescate a cui l'iconografia ci ha abituati.


Il Piemonte, nel panorama castellologico e della fortificazione in genere, fornisce senza dubbio vari esempi significativi. Inutile negare l'importanza della vicina Valle d'Aosta, da sempre presente nella cultura pedemontana. Le stesse Marche d'Ivrea, del Monferrato ed il Ducato di Milano, si sono spinti oltre i loro confini, interessandosi alle Valli del Canavese e di Lanzo. Queste ultime, molto diverse dalle vicine realtà della Valle di Susa e della Valle d'Aosta per abitudini, cultura, usi, abilità artigianali e contadine, danno origine a condizioni particolari ed al nascere di singolari situazioni.


Le Valli di Lanzo hanno storicamente avuto il loro confine e limite sorvegliato all'imbocco delle vallate in corrispondenza del ponte sulla Stura. La Valle di Susa aveva invece, in pari periodo, il confine spostato sulle montagne rimanendo aperta verso la pianura. Solo nel XVI Secolo la fortificazione di Exilles fu posta a sbarrare il transito attraverso la Valle.


Verso il Milleseicento il "Ponte del Roc" di Lanzo Torinese sarà all'apice del suo utilizzo che andrà scemando progressivamente dalla seconda metà del XVII Secolo fino all'Ottocento. Il Ponte, edificato verso la fine del Trecento, va interpretato come un'opera integrata nel più vasto sistema di fortificazione del Castello, del Borgo cintato e delle difese esterne, al fine di controllare tutto il traffico pedonale e someggiato che qui doveva pagare pedaggio.


Nel 1564 un'ordinanza decreta la costruzione sul Ponte di una porta che doveva servire a bloccare l'ingresso verso le Valli durante il periodo in cui fosse rilevata nel Borgo l'insorgenza di casi di peste. La porta rimase inserita per alcuni secoli e venne eliminata quando l'interesse per il transito decadde in corrispondenza delle nuove esigenze del traffico.


Queste informazioni ci aiutano a capire in quale situazione vivevano le persone che abitavano in valle e come dovevano essere limitati i contatti con le popolazioni vicine.


 


Risalendo le Valli di Lanzo verso il Piano della Mussa, si giunge a Balme che probabilmente deve il suo nome al fatto che in zona si trovano parecchie rocce sporgenti che nel patois locale sono chiamate barmes2.


Non è possibile precisare quando abbia avuto origine l'antico Borgo. Sicuramente esisteva già nel XIV secolo in quanto se ne fa riferimento nei Rendiconti della Castellania di Lanzo3 di quel periodo. Sulle pergamene è probabilmente riprodotta la pronuncia popolare “de barmis” che successivamente fu tradotto in “loco balmarum”4.


Le origini di Balme sono però molto più antiche. Silvio Solero nella Storia Onomastica delle Valli di Lanzo5 scrive che il nome Venonio un tempo era utilizzato per identificare tutto il Piano della Mussa e la mutazione in Venoni servì invece in epoca successiva per individuare soltanto più l'Alpe e la Rocca. Il nome sarebbe in effetti da far risalire ai romani Vennonii che possedevano fin dal II secolo quel fondo rustico. Doveva quindi esistere necessariamente anche un piccolo villaggio più a valle.


 


1. Castagneri-Ljinch


Durante l'inverno l'abitato di Balme rimaneva per alcuni mesi sepolto sotto la neve. Gli abitanti erano talvolta costretti a restare chiusi per giorni interi nelle loro case. Per settimane il villaggio non poteva comunicare con le sottostanti borgate né potevano intervenire soccorsi esterni. Ogni nucleo famigliare doveva perciò fare delle provviste per poter superare i rigori dell'inclemente stagione6.


Oltre alle copiose nevicate che mettevano in difficoltà i balmesi, dalla ripida roccia alle spalle dell'abitato si staccavano violente valanghe che rovinavano anche sulle case. Ancora oggi, a testimoniare il pericolo mai scongiurato, alcune baite costruite in questa zona presentano, rivolti verso la montagna, possenti speroni in pietra a forma di cuneo costruiti apposta per deviare la violenza dell'impatto e salvare la costruzione.


E' in questo quadro insolito che nel 1591 un abitante di Balme decide la costruzione della propria casa e sceglie di farlo in luogo sicuro ed al riparo dai rischi di valanga7. Il sito che si presenta adatto per questo progetto è uno sperone roccioso a picco sulla Stura. L'idea così ardita ripone fiducia proprio nella caratteristica principale di quel luogo: la salda roccia su cui costituire sicura e stabile fondazione per l'edificio.


Nasce cosi il Rociass dei Castagneri-Ljinch, abitazione fortificata a metà strada tra la Casaforte ed il Castello rupestre che riunisce caratteristiche comuni sia ai Ricetti che ad altre costruzioni tipiche dell'architettura medievale.


Un blocco di pietra murato nel loggiato della costruzione reca incisa questa scritta: «1591 ali 5 magio / me Jouan Castagnero / ho fato la pte casa / laus deo».


 


Inoltre, le vecchie guide turistiche delle Valli, riportavano l'esistenza di un'altra testimonianza anch'essa singolare. Pare infatti che in una delle stanze dell'edificio fossero affrescati i ritratti di quel Gioanni Castagnero e di uno dei suoi figli8. Anche se questa notizia è stata ripetuta da alcune guide più recenti, oggi non ha più alcun fondamento. Si tratta semplicemente, come spesso accade, di dati copiati senza verifiche adeguate. Probabilmente la scarsa qualità del supporto pittorico ha portato alla perdita dei disegni come pure potrebbe essere stata la scarsa attenzione da parte di qualche "inquilino" che ha abitato quelle stanze in epoche successive.


Chi era questo "nobile" Gioanni Castagnero detto il Ljinch che in un panorama così povero, con singolare intuizione, si fece carico di edificare una casa talmente grande da costituire in seguito riparo temporaneo per gran parte degli abitanti della prospiciente antica borgata? Qual era, o quali erano, le attività che gli permisero di assoldare un numero sufficiente di artigiani in grado di costruire frontoni in muratura a secco di circa quindici metri di altezza? Qual era il rapporto che interessava le parti nel momento in cui il Rociass diveniva “condominio” per la gente che abitava nella borgata che era a rischio di valanga?9 Quale personalità può aver alimentato la fantasia delle generazioni successive tanto che ancor oggi a Balme se ne parla come di un personaggio scomparso da poco ed in grado di essere protagonista di curiose storie immaginarie?


Le probabili risposte, dopo oltre quattro secoli dalla fondazione dell'edificio, sono quelle derivanti da un'analisi sistematica del fabbricato ancorata però il più possibile ad una ricerca sui personaggi che contribuirono all'edificazione e che vissero nello straordinario "castello".


Gli innovativi sistemi di costruzione: particolari tessiture in pietrame, orditure dei tetti, il particolare impiego del legno, si possono far risalire all'immigrazione in Valle di popolazioni provenienti dal bergamasco'°. L'uso particolare delle chioderie trova invece giustificazione nel trasferimento di artigiani chiodaioli dai centri di Pessinetto e Ceres in alta Valle. La grandiosità dell'edificio lascia tuttavia supporre che all'epoca della costruzione, gran parte degli abitanti del luogo furono coinvolti nei lavori anche come semplice manovalanza. Su tutti emerge però la figura del Ljinch che sicuramente dovette sovrintendere i lavori trasponendo nell'edificio tutta la sua eclettica personalità.


Il cognome dei Castagneri compare, unitamente alle prime testimonianze documentali sugli abitanti di Balme, sulle pergamene dei Conti della Castellanìa di Lanzo.


Un Gioanni Castagnero viveva in Ceres nella seconda metà del Milleduecento e il suo nome risulta ancòra riportato, unitamente a quello della figlia Perona, nei Conti della Castellanìa di Lanzo del 1310-11. Successivamente risultano un Giacomo (1311-14), un Guglielmo (nel 1308 e nel 1328) e faticosamente si può ricostruire la discendenza fino a giungere al personaggio che più di tutti ha lasciato traccia di sé.


Gioanni (Jouane) Castagnero-Ljinch nasce a Voragno (Ceres) nel 1550, ha interessi economici in molte fucine delle Valli e, dotato di viva intelligenza e spirito d'intraprendenza, diventa ben presto ricco.


Nel 1613 un documento attestava che «gia per molti et molti anni » Gioanni Lenchio, affittava l'Alpe della Ciamarella dagli Abati di San Mauro e pare che proprio per questo motivo egli si sia trasferito da Voragno a Balme 12.


II 12 dicembre 1599 a Ciriè, alla presenza del sig. Tomaso Sorle borghese e «Dottore d'ambe leggi» in Lanzo, acquistava da Carlo Ant. Perrachio parte dell'Alpe Venoni; la restante parte Castagnero l'aveva acquisita in precedenza. Permutò con i consorti della Mussa un suo terreno con altro in località Ginevro e Marmuttera all'Alpe della Costa della Mussa e qui fece costruire una baita ed una cappella, fatto che fu origine di liti con gli Abati di San Mauro 13.


Gioanni Castagnero aveva già acquistato, oltre ad altri beni, anche le Ragioni Feudali che i conti Provana di Leyni avevano su Balme. Questo episodio gli procurerà la possibilità d'intraprendere importanti iniziative anche a favore della comunità di Balme14.


Nel 1610 ottenne che il piccolo paese venisse eretto in Comune autonomo in alienazione da quello di Ala. Nel 1612 e per decreto di Mons. Carlo Broglia ottenne che, a partire dal 12 gennaio di quell'anno, la chiesa di Balme diventasse Parrocchia 15. Già prima di queste date e naturalmente anche in seguito, Gioanni Castagnero ricoprì cariche di prestigio nell'amministrazione del Comune. Questi fatti, assieme all'acquisizione delle Ragioni Feudali, gli valsero la possibilità di fregiarsi del titolo di Nobile. La qualifica, che spettava anche ad altri personaggi illustri delle Valli, non era soggetta a prescrizione e consentiva di fregiarsi di uno stemma di famiglia16.


Gioanni Castagnero muore nel 1643 all'età di novantatre anni ed è considerato, per i vari meriti, il fondatore di Balme.


Alcuni racconti popolari descrivono il Castagnero impegnato a coniare monete d'oro nelle zecche segrete di Balme e Voragno, oppure dedito al mestiere di contrabbandiere. Leggende sono forse nate nell'intento di giustificare la sua grande ricchezza. Oggi il suo nome è legato alla grande casa del Rociass che egli volle costruita sulla solida e sicura roccia a picco sulla Stura.


 


2. Le costruzioni in Balme


Risalendo ed osservando i nuclei originali del complesso abitativo di Balme, se immaginiamo di eliminare le costruzioni più recenti e le modifiche urbanistiche dei primi decenni del Novecento che hanno in parte sconvolto il centro del paese, è possibile  individuare due tipologie di abitazioni: quelle a carattere civile e quelle utilizzate dagli alpigiani per le attività lavorative.


Le costruzioni civili non differiscono molto da quelle di bassa Valle, hanno un disegno assai semplice. Due piani fuori terra con tetto a due falde, balcone che percorre tutta la lunghezza della facciata meglio esposta e piccole aperture.


I vani interni hanno anch'essi una distribuzione razionale e sono di piccola grandezza. All'esterno la muratura risulta intonacata in modo grezzo con l'apposizione di calce limitata alle pareti più importanti e a contorno di finestre e porte; le altre pareti sono lasciate con la muratura di pietrame a vista.


Molto differenti risultano invece le case rurali. Sono addossate le une alle altre in modo apparentemente disordinato ed il tetto, sempre a due falde, si prolunga di parecchio in aggetto rispetto alla facciata. In questo modo si riescono a coprire gli stretti passaggi fra le case e viene garantita la percorribilità anche durante le nevicate più copiose.


L'inclinazione delle falde, ricoperte di lose, è intorno ai quarantacinque gradi e lo spiovente accentuato è anche utile per riparare il fienile ed il balcone che nella bella stagione è anche utilizzato come stenditoio.


Le pareti delle case più esterne all'abitato e quindi più vicine allo strapiombo roccioso che incombe sul paese, sono munite di uno sperone di muratura di pietrame a secco. Il vertice rivolto verso la montagna, ha il compito di deviare l'impatto di un'eventuale valanga.


La casa rurale del concentrico di Balme non dispone di più di cinque o sei vani distribuiti nel modo classico: al piano terreno la cucina e la stalla, al primo piano le camere da letto e nel sottotetto il fienile. Il passaggio fra i piani avviene tramite scale in legno piuttosto ripide e poste all'esterno dell'edificio.


I solai sono interamente in legno, i travi orizzontali che costituiscono la struttura portante, sono incastrati agli estremi nella muratura in pietra. Su di essi si trova distribuito un tavolato caratterizzato da assi di elevato spessore ma di larghezza contenuta.


Nel 1867 Luigi Clavarino, all'interno del suo Saggio di corografia statistica e storica delle Valli di Lanzo, fornisce questa descrizione delle case del concentrico di Balme: «Per la costruzione di case di una tale semplicità non si richiede tutta quella congerie di materiali e tutto quello apparato di macchine e di armature indispensabili ad elevar le abitazioni che la mondezza, il lusso e l'arte hanno imposto ai mortali inciviliti. Pietre spaccate, lastroni di pietra da quattro o cinque centimetri di spessezza, travi, correnti di larice o pino, assi o tavole di larice o castagno, poca calce, molta sabbia e poca chiodagione, formano l'insieme delle provviste elementari per costruire una casa campestre. Le pietre da 30 a 50 centimetri di coda sono raccolte nel letto di Stura, o preparate spaccando con poderose masse di ferro le roccie di granito ridotte a conveniente volume per mezzo della mina; i lastroni si rinvengono nelle regioni più alte in massi stratificati, che si riducono colla mina e si paccano collo scalpello; si tagliano nei boschi comunali le piante di larice necessarie per farne correnti (cantieri), tavole per gli assiti e solai, e per le travi si adoperano grosse piante di castagno, che si tagliano nei fondi particolari; la calce è fornita dalle fornaci della valle, oppure da quelle di Rivara sul canavese. La sabbia si raccoglie sul letto di Stura, e la grossa chiodagione viene fabbricata nella Valle Grande, ed in ispecie nelle fucine di Pessinetto; la ferramenta di porte e finestre, le inferriate ed altri oggetti in ferro, vengono fabbricate in tutte queste valli. I lavori accessorii da falegname vengono pure lavorati sul luogo, tanto per le fabbriche civili, quanto per le rustiche. Mancano assolutamente i cordami, il gesso ed i vetri»18.


Se si vuole individuare il nucleo centrale dello sviluppo urbanistico di Balme su riferimenti cartografici, la base è sicuramente rappresentata dalla Mappa del 1866 del Catasto Rabbini. Questo è infatti il primo documento cartografico ufficiale su cui compare l'assetto distributivo e viario di Balme. Nel 1921 viene effettuata la rielaborazione della Mappa Rabbini e la nuova Mappa è adottata come cartografia ufficiale del Primo Catasto del Regno d'Italia. Si dovrà attendere parecchio per avere lo sviluppo completo della cartografia che avverrà attraverso la Mappa Catastale del 1974.


 


3. II Rociass di Balme


Oggi si rischia di transitare accanto all'edificio senza accorgerci della sua presenza anche perché, sul lato che costituisce il fronte verso strada, non risaltano elementi che lo differenzino dagli altri agglomerati di baite ed edifici rurali.


La carrozzabile che utilizziamo oggi e su cui è convogliato il traffico automobilistico, stravolge infatti l'originario approccio che si doveva avere con l'antica struttura all'epoca della sua fondazione sino allo stravolgimento urbanistico. Inoltre l'edificio risulta fortemente compromesso per la scarsa attenzione con la quale sono stati effettuati gli interventi di ristrutturazione ed anche per una disattenta scelta dei materiali. Stupisce sempre constatare come il nuovo possa soppiantare ogni cosa compreso l'affetto verso il passato. In fin dei conti gli edifici rappresentano ciò che rimane delle attività e della presenza di generazioni di donne e di uomini che fra quelle pietre, con la loro presenza, sofferenza, lavoro e fatica, hanno contribuito a costruire la piccola storia di questo villaggio.


La Soprintendenza competente ha sempre posto, come è giusto che sia, una serie di vincoli sull'edificio specialmente per la zona presso la quale si trovano gli affreschi, ma nel contempo i proprietari non si sono mai visti accreditare alcunché in forma di contributo. L'azione del tempo provoca da sola dei guasti ai quali però si devono aggiungere quelli derivanti dalla posizione geografica. In questi decenni si sono susseguite stagioni più o meno clementi ma i lunghi inverni e l'azione di vento, neve e ghiaccio sono letali soprattutto se scarseggiano le opere di manutenzione.


Avviciniamoci al Rociass e proviamo ad entrare in sintonia con la sua storia.


L'analisi della dislocazione edificio come oggi si presenta, necessita di alcune puntualizzazioni. Occorre infatti distinguere tre nuclei di formazione. Il primo è quello riguardante la parte costruita nel XVI Secolo, il secondo quello costituito dal nucleo centrale identificabile con la zona degli affreschi (XVII-XVIII Secolo) ed infine quello comprendente gli edifici costruiti negli anni intorno all'Ottocento.


Faticosamente la mulattiera dal fondo valle conduceva verso il Pian delle Mussa. Giunti nel territorio di Balme, il terreno per un primo tratto si mostrava abbastanza pianeggiante e soltanto verso la montagna si scorgeva un restringimento proprio dove c'era la borgata. Il cammino era accompagnato sulla sinistra dallo scorrere delle acque dello Stura e mentre si procedeva il rumore aumentava di intensità quasi a voler mettere in guardia il viandante. Più ci si avvicinava al paese e più il rumore aumentava. Si era infatti prossimi alla cascata. Anche la salita si faceva più dura ed occorreva inerpicarsi su una mulattiera sempre più stretta. Giunti a questo punto chiunque si fermava un momento. Serviva per sistemare meglio il carico che aveva sulle spalle, per assicurarsi che chi lo seguiva non fosse in difficoltà prima di affrontare l'ultima ripida salita. Vogliamo pensare che ognuno, scostando un poco il copricapo od il foulard per vedere meglio, partisse con lo sguardo dalle solide rocce che aveva davanti e poi lentamente scorresse tutta la facciata sino in cima dove si trovavano le piccole finestre e la facciata si stagliava minacciosa. Bisognava passare proprio vicini allo spigolo della base dell'edificio per accedere alla borgata, passaggio obbligatorio anche per chi saliva alla Mussa.


Ancora oggi è possibile vedere i luoghi descritti anche affacciandosi semplicemente dal bordo della strada e guardando verso il Fiume.


La mulattiera in questo punto conduceva nell'agglomerato del paese da dove si scorgevano gli stretti passaggi fra le case. Ci si trovava in questo punto a pochi passi dal cuore del Rociass. Presso una minuscola piazzetta si potevano ammirare gli affreschi e qui si trovava la piccola chiesetta di Santa Maria della Visitazione. La chiesa, ancora rilevata dalla Mappa Rabbini nel 1898, è stata demolita nel 1909 con la necessità di rendere più agevole la mulattiera. Altri edifici furono completamente o parzialmente abbattuti sino a giungere alla situazione attuale con i lavori di ampliamento del 1956 che trasformarono il tracciato rendendolo completamente carreggiabile.


Oggi transitando su questa strada si perde ogni suggestione che un lento avvicinamento trasmetteva a chi saliva a piedi sotto il Rociass che dominava la vallata.


Volgendo l'attenzione alla parte più antica della costruzione, emergono dati interessanti anche a riguardo della distribuzione interna degli ambienti. Gli studi sulla razionale dislocazione dei vani sono senz'altro recenti, eppure, nel Rociass di Balme, molti concetti legati alla funzionalità distributiva dei locali sono già utilizzati.


Percorrendo la mulattiera, dopo essere transitati sotto il minaccioso frontone, si giunge nei pressi di un passaggio sotto la Casa che dà accesso ad un imponente scalone. Questa gradinata, costruita con grosse pietre, permette di superare il dislivello tra il piano strada ed il piano delle abitazioni conducendo ad un corridoio che a sua volta, dà accesso ai loggiati ed alle varie unità abitative.


I loggiati costituivano assieme alla scala, al corridoio ed alla piazzetta interna, le parti comuni dell'intera costruzione.


 


3.1. La distribuzione interna


L'accesso allo scalone (1) risulta oggi compromesso in seguito ai lavori su una proprietà privata e reso anche meno visibile dal lavatoio pubblico che è stato costruito in cemento a vista soltanto qualche decennio or sono. Sulla destra, all'imbocco della rampa, si trova un primo vano sicuramente utilizzato come deposito temporaneo di attrezzi; è di piccole dimensioni e di altezza intorno al metro e mezzo può anche aver ospitato piccoli animali ma la sua caratteristica peculiare rimane quella di magazzino. A circa metà dell'unica rampa si trova sulla sinistra una porta con l'architrave molto basso. Per entrare occorre chinarsi e si accede ad un vano destinato al ricovero di piccole greggi. Quando si giunge in cima allo scalone ci si trova nella quasi esatta mezzeria del corridoio.


Il corridoio, (2) viste le proporzioni di tutto rispetto di circa due metri per due metri e mezzo di sezione, serviva indubbiamente al passaggio anche di ingombranti carichi portati sulle spalle con gerle e cabasse. L'enorme spazio a disposizione nel sottotetto dell'edificio era infatti destinato ad ospitare grandi quantità di fieno. Il colmo del tetto in lose della copertura si trova proprio sulla proiezione del corridoio in posizione longitudinale all'edificio. L'accesso al solaio si trova in fondo al corridoio.


I loggiati (ampie balconate aperte) (3) godono di uno splendido affaccio sulla Stura con un suggestivo strapiombo di parecchi metri. Questa parte è sicuramente quella più carica di significati. Il senso di dominio sulle cose e sulla natura che qui si prova è assoluto. Le possenti strutture danno un inequivocabile senso di sicurezza mentre la quasi totale assenza di protezioni (un paio di tronchi di sezione uniforme collocati come ringhiera) lasciano immaginare come in questo luogo non si debba temere alcunché di negativo né proveniente dagli uomini né proveniente dalla natura. Tuttavia, pur essendo all'interno di un ambiente costruito, si prova un notevole senso di compenetrazione con l'esterno e la propria figura viene ridimensionata assumendo un ruolo di comparsa. Le suggestioni che si possono provare oggi sono sicuramente le stesse di un tempo ed è proprio in questo punto che il fondatore ha inciso una pietra incastrata nel muro che reca il suo nome e la data di ultimazione dei lavori.


Sopra il loggiato al quale si accede direttamente dal corridoio, se ne trova un secondo di uguali dimensioni. Le pavimentazioni dei due ambienti aperti verso l'esterno sono formate da assi in legno larghe venti-venticinque centimetri sorrette da una robusta orditura in tronchi di sezione regolare intorno ai trenta centimetri di diametro.


Una piccola finestra rivolta verso valle veniva utilizzata sicuramente per l'avvistamento e la sorveglianza. L'apertura è sormontata da un tronco che funge da ripartizione dei carichi secondo la tipologia delle costruzioni montane che utilizzano i materiali più facilmente reperibili sul posto come appunto la pietra ed il legno.


Dal loggiato si scende attraverso una ripida ed insidiosa scala (4) per metà scavata nella roccia in due ambienti comunicanti. Entrambi i vani hanno delle aperture abbastanza grandi ed un balcone che si affacciano verso la mulattiera che si trova sul lato opposto. Pare che sia in una di queste stanze che la leggenda vuole che il Gioanni Castagnero-Ljinch battesse moneta. La fantasia popolare giustificava con l'attività della zecca clandestina le enormi fortune che il Ljinch riusciva ad accumulare.


Sempre dal loggiato si accede ad un vano di forma abbastanza regolare che ha come muro principale quello del frontone dell'edificio.


Ritornando verso il corridoio ci si trova di fronte all'ingresso di una unità composta da quattro vani (5), uno di questi è veramente di imponenti dimensioni ed è esattamente di fronte all'ultima alzata dei gradini dello scalone. Si può pensare che questi locali, insieme a quelli descritti poco sopra, costituissero la residenza di Gioanni Castagnero. In questi ambienti visse un Castagneri detto Péro 'l Ros ed ancora sono in molti a ricordarlo, che condivise con l'antenato non solo il nome e l'abitazione ma anche una genialità espressa attraverso la realizzazione di piccoli e curiosi oggetti d'uso quotidiano.


Ricostruire la vita di quattro secoli fa all'interno del Rociass non è certo possibile. Le leggende nate attorno alla figura del suo fondatore e la struttura stessa sono comunque in grado anche oggi di solleticare la fantasia degli abitanti di Balme e di chiunque si accosti o si addentri all'interno della costruzione.


Dal corridoio giunge ad altre unità abitative. Anche se alcuni interventi sulle murature originali risultano evidentemente di epoche successive è impossibile affermare se qualcuno di questi vani fosse un tempo collegato al nucleo di proprietà del Ljinch. È probabile infatti che alcune porte di comunicazione interna siano state murate scindendo le unità abitative o che siano state dismesse solo in un secondo tempo. Per poter dare queste risposte si dovrebbero fare rilievi ed assaggi sulle murature. Nei secoli successivi il Rociass è stato sottoposto ad una rilevante frammentazione delle proprietà e neanche è più possibile constatare le originali forme “giuridiche” di utilizzo.


Allo sbocco del corridoio si trova sulla destra una scala in pietra (6) sostenuta da una robusta orditura in tronchi. Attraverso la scala si accede al sottotetto utilizzato come fienile. Le dimensioni di questo spazio sono pari a quello occupato in pianta da tutto l'edificio ma la straordinaria particolarità dell'opera risiede nella inusuale lunghezza del trave di colmo del tetto. Il trave in legno che costituisce colmo dell'orditura è infatti lungo circa 25 m e ripartisce l'enorme carico che gli deriva dal manto di copertura in lose. Non è possibile sapere se le attuali rastrelliere in legno che fungono da divisione di proprietà fossero già presenti ai tempi del Ljinch. Vista l'enorme quantità di spazio a disposizione è tuttavia consentito ipotizzare che fosse proprio questa una delle parti assoggettata a qualche titolo in forma di condominio.


Alle persone che si rifugiavano nel Rociass, portando con sé animali e piccole greggi, doveva sicuramente essere consentito di provvedere all'alimentazione del bestiame.  Purtroppo anche consultando i documenti oggi a disposizione, non è possibile definire a quale titolo venissero fatte le concessioni e quali vantaggi ii Ljinch ne traesse.


All'uscita dal solaio ed in corrispondenza dello sbocco all'esterno del corridoio, ci si trova presso un piccolo spazio (7) di fronte ad una unità abitativa composta da due vani comunicanti che godono dell'affaccio sulla Stura. Sulla facciata interna, protetti da uno spiovente del tetto, si trovano ad un'altezza di circa due metri da terra degli affreschi di discreta fattura. Gli affreschi sono dipinti su una facciata che si trova all'aperto protetta da una porzione di spiovente di tetto. Nei secoli scorsi, proprio quella parte del tetto, non deve essere stata sottoposta ad una manutenzione continua. L'intonaco denuncia infatti delle infiltrazioni d'acqua che ne hanno minato lo stato di conservazione. Tuttavia il degrado delle pitture, prima dei restauri, non era eccessivo forse perché hanno trovato in questa posizione riparata un giusto grado di umidità e temperatura grazie anche ad un sottofondo e ad una pellicola pittorica d'ottima fattura.


Si tratta di quattro tavole che rappresentano la Vergine con il Cristo sulla Croce datato 1631; la deposizione del Cristo dalla Croce alla Sindone, datato 1641; il Battesimo di Gesù Cristo, datato 1697, e la decapitazione di San Giovanni Battista, non datato.


La morte di Gioanni Castagnero avviene nel 1643. Le due tavole successive questa data sono quindi state ordinate dagli credi del Ljinch a testimonianza che anche con il trascorrere degli anni e dopo la morte del fondatore, si volle mostrare continuità con il passato. Nulla risulta però possibile scrivere sull'argomento legato agli utilizzi degli spazi comuni e se con essi siano stati mantenuti i medesimi obblighi e vantaggi nei confronti degli abitanti di Balme.  


I dipinti, dopo anni di totale disinteresse ed abbandono sono stati oggetto d'intervento da parte dell'Amministrazione Comunale. I tecnici hanno proposto e scelto la strada del restauro conservativo. I lavori sono stati consegnati, restituendo le opere alla Comunità, in occasione dei festeggiamenti proclamati per il Quarto Centenario della fondazione dell'edificio.


Poco distante dalla zona degli affreschi, ci troviamo nel nucleo centrale del Rociass (8). In questa parte si possono individuare gli accessi alle stalle ed agli ovili che spesso sono gli stessi che conclucono anche alle abitazioni, secondo un uso diffusissimo nelle costruzioni rurali in cui l'uomo divide gli ambienti con gli animali per attenuare gli effetti del rigore invernale. Scale di piccole dimensioni portano invece ai magazzini ed alle cantine interrate. Se ne trovano in numero ridotto sopratutto in forza della caratteristica rocciosa del terreno su cui è fondata la costruzione. Tutti i vani descritti hanno la particolarità di non essere stati costruiti su un medesimo livello. La costruzione deve seguire molto fedelmente l'andamento del terreno. In molte stanze infatti si trovano emergere numerosi spuntoni di roccia che affiorano sul pavimento oppure in corrispondenza delle murature.


La posizione dello scalone d'accesso, quella del corridoio, l'ubicazione dell'ingresso al fienile ed alle unità abitative, ai magazzini, alle stalle ed agli ovili va letta come l'assoluta necessità di avere libertà di movimento all'interno della costruzione in qualunque stagione. Durante i lunghi inverni la quantità della neve caduta o peggio la valanga inibivano infatti qualunque attività all'aperto. Alcuni abitanti di Balme potevano continuare a svolgerle, seppure in misura ridotta, all'interno del Rociass.


La grande quantità di locali a disposizione lascia inoltre presupporre che tutte queste pertinenze dovevano avere qualche utilizzatore esterno temporaneo che con il passare del tempo, assunse le caratteristiche di residenza permanente trasformando talora la destinazione d'uso di alcuni vani.


Dallo spazio antistante gli affreschi si scende tramite una piccola scaletta oppure percorrendo una rampa inclinata alla piazzetta della chiesa di Santa Maria della Visitazione (9). La costruzione non esiste più, come già scritto, fu demolita nel 1909 per consentire l'allargamento della mulattiera diretta verso il Piano della Mussa. Dalle planimetrie che ancora la disegnano se ne ricava una costruzione di ridotte dimensioni dalla pianta rettangolare con un accentuato pronao. Essa svolgeva principalmente la funzione di Cappella del "castello".


Gli edifici sorti nella zona vicina allo spazio un tempo occupato dalla chiesetta, fanno parte del "nucleo centrale" del Rociass. Sono costruzioni edificate intorno al Millesettecento - Millesettecentocinquanta e per tipologia e materiali costruttivi si differenziano dalla parte originale. Non è dato sapere se i posteri del Ljinch proseguirono i rapporti con gli abitanti di Balme che il fondatore aveva intrapreso. Risulta comunque chiaro, che da questo momento in poi, tutte le costruzioni che si addossano all'originale sono abitazioni permanenti e conservano tutte le tipologie e le destinazioni d'uso necessarie a svolgere le attività del ciclo contadino.


Le case del secondo nucleo di espansione, quello a monte (10), sono ancor più chiaramente state costruite in quel punto per sfruttare l'ormai nota sicurezza del sito. Anche qui non è dato sapere in forza di quale concessione si siano potute costruire altre case, potrebbero essere state almeno in origine necessità familiari ad imporre gli ampliamenti. Le ultime abitazioni, quasi a contatto con la suggestiva cascata sulla Stura, sono le più recenti. Edificate intorno al Millesettecentocinquanta - Milleottocento mantengono il ruolo di edifici sicuri, anch'essi costruiti sulla solida roccia con terrazzi in muratura di pietrame a secco rivolti verso il corso d'acqua. Proprio per sfruttare la velocità dell'acqua sorgono sotto il Rociass i resti di un paio di piccoli edifici. Erano dei mulini ed accanto ad essi si trovano abbandonate le macine che sono in disuso ormai da decenni, ma testimoni delle attività artigianali.


Il resto fa parte ormai della storia recente. Le vicende che hanno coinvolto il piccolo paese nel Secolo scorso non sono dissimili da quelle di tanti comuni delle valli montane. Vita povera, basata sulla poca agricoltura e sulla pastorizia che ha subìto le vicissitudini delle guerre, della industrializzazione della bassa Valle, dello spopolamento fino ad un barlume di ritorno di interesse attraverso una recente ritrovata vena turistica.


Forse un po' troppo poco per un paese che, in tempi migliori, aveva visto molto spesso personaggi famosi recarsi fin quassù attraverso le pietraie per la caccia al camoscio e dato ospitalità ad illustri villeggianti come il Pascoli, la Duse e Marconi. (Continua nel prossimo numero)


 


Il Ruciàss, una leggenda balmese


di Licinio Zanellato


 


In tutte le leggende locali esiste quel pizzico di fantasia che le rende fiabesche e appassionanti. Anch'io voglio mettere una cornice dorata ad una leggenda valligiana.


Nel 1314 papa Clemente VI e Filippo Il Bello re di Francia, per i debiti contratti da quest'ultimo e per l'impossibilità di onorarli, decisero insieme di sopprimere l'Ordine dei cavalieri del tempio, i Templari.


Quest'ordine, inizialmente nato per la protezione delle vie che conducevano al Sacro Sepolcro, nell'arco di qualche secolo era diventato una potenza tale da intimorire e disturbare sia re, sia papi. La loro sede era il tempio di re Salomone e da questo il nome “Templari”.


Indubbiamente l'ordine venne eseguito con tanto zelo da far sì che moltissimi cavalieri venissero prima imprigionati e dopo un sommario e parziale processo, condannati al rogo. Nonostante lo zelo del re e del papa, un considerevole numero riuscì a mettere in salvo ciò cui il re maggiormente ambiva: il tesoro.


Verso il 1350, o ancor prima, in alcuni paesi del nostro arco alpino, fecero apparizione qua e là, uomini ricchissimi che elargivano e contribuivano al sostentamento morale e materiale del luogo in cui si soffermavano.


Pare che in questo periodo a Cantoira, un certo cavaliere Bretonne si fosse costruito un “castello”; questo cavaliere fu alquanto sfortunato perché venne ucciso in un'imboscata tesagli per derubarlo nel luogo che ancor oggi porta il suo nome, il “Roc Bertùn” a Funghera. Bertùn, probabilmente dal nome Bretonne piemontesizzato.


Non è da escludere che negli stessi tempi non fosse comparso anche nella val d'Ala, un uomo venuto dalle Alpi sovrastanti. Qualche suo discendente nei secoli successivi stabilitosi a Balme, diventò  un magnate, costruendo prima una cappella e poi la sua stessa dimora in cima al paese, in un solido punto chiamato tuttora “Ruciàss”. Egli era talmente ricco che gli abitanti del luogo pensavano persino avesse scoperto qualche filone d'oro in vallata.


Passò il tempo e il piccolo paesino balmese rimase nella sua tranquillità, all'infuori delle beghe politiche e belliche che infierivano nelle vicine pianure, rimanendo pur sempre sotto la giurisdizione di questa o quella contea.


Nel 1697, un balmese dallo spiccato senso artistico, pose la sua firma su alcuni affreschi tuttora visibili su una parete laterale all'entrata  del Ruciàss. Quest'emerito balmese si firmò con il nome di Joanni Castagnerius, indubbiamente nome latinizzato dalla religione per chi voleva cambiare nome.


Chiamiamo “pale” queste prime tre opere. La prima è una crocifissione stilizzata con felici tocchi artistici. La seconda una deposizione dalla croce. Realizzata sempre con il tocco geniale e il particolare abbellimento nella fusione dei colori, scrutandola attentamente (e come queste anche le altre, si notano i particolari tratti somatici riscontrabili negli attuali abitanti balmesi). La terza è un affascinante battesimo con un maestoso San Giovanni raffigurato sempre con una raffinata ricercatezza dei particolari.A proseguimento di questo splendido affresco eccone un quarto, più complesso, più simbolico, quasi a voler mascherare i primi tre: un'iniziazione rosacruciana.


I Rosacroce erano i continuatori della dottrina spirituale templare. Il loro compito era quello dell'elevazione morale e spirituale dell'uomo. In questo stralcio di affreschi (dico stralcio perché molto probabilmente il disegno si spingeva oltre l'attuale limite) si nota il simbolico scambio di “consegne”, il vero atto iniziatico: al tavolo dei commensali viene portata la testa del giovane mentre quella del vecchio rimane sotto gli scalini. E' questa una simbologia nella quale la continuità della tradizione viene trasmessa da bocca ad orecchio, dal vecchio al giovane.


Ogni commensale ha davanti a sé un ramo d'acacia e una rosa, anche questi espressione dalla forte simbologia.  I commensali sono nove, tanti erano inizialmente i cavalieri del tempio. I gradini che separano i commensali dagli iniziati sono cinque, numero emblematico per arrivare alla maestria iniziatica.


Tutto l'affresco è un susseguirsi di simboli che solo un profondo conoscitore dell'illuminismo rosacruciano, qual'era evidentemente il Castagnerius, poteva capire e interpretare, immortalandolo su una parete a testimoniare che a Balme sono vissuti uomini d'ingegno e profondità d'animo.


Molto di particolareggiato ci sarebbe ancora da aggiungere,  ma terminando voglio auspicare che tanto valore venga protetto per conservare in noi questo splendido messaggio che un certo Joanni Castagnerius ha voluto trasmetterci  mitizzando sul Ruciàss, forse  la casa del suo avo d'oltralpe.


 


L'abate Garino: la triste vicenda di un prete stregone


di Maria Teresa Serra e Gianni Castagneri


 


Nell'anno del Signore 1713 l'abate Gio Paolo Garino da Castellamonte, viene inviato a guidare la sperduta parrocchia di  Balme, povera comunità di montagna. Proprio a quell'anno risale la costruzione del ponte in pietra di Bogone, tuttora esistente.


In data 12 ottobre 1719, sottostando alle imposizioni governative, anche Balme e Chialambertetto istituiscono la Congregazione di Carità, al fine di ridimensionare le prerogative sociali degli ecclesiasti, che fin dal Medioevo si occupavano per consuetudine dell'assistenza ai poveri e ai malati. La Congregazione, che resterà attiva fino al 1927, nasce per porre rimedio alla dilagante mendicità, affidandone la gestione alle singole comunità locali che, nel nostro caso ritennero, come si evince dalla Deliberazione degli Officiali, di incaricare quale “Segretaro e Deputato de' poveri infermi e de' poveri vergognosi il S.r D. Gio. Paulo Garino Castellamonte curato”, evidentemente la persona più istruita del villaggio.


Sono questi gli anni in cui le trasformazioni politiche e territoriali, che porteranno nel 1720 alla trasformazione del Ducato di Savoia in Regno di Sardegna, sotto la guida del re Vittorio Amedeo II di Savoia, sembrano non riguardare le sorti di queste popolazioni, attanagliate da ben altri problemi.


In quel 1720 la gente è allarmata dalla presenza di un ufficiale e un presidio di 21 uomini a guardia della sanità, considerate le circostanze che vedono divampare in Francia una spaventosa epidemia di peste. La misura assunta è conseguenza evidente di quanto fossero consueti i rapporti con i paesi d'oltralpe.


Non ci è dato ora sapere con esattezza quali eventi preliminari facilitarono il precipitare della situazione, ma imprecisate accuse di stregoneria portarono all'arresto, nel mese di settembre del '20, del parroco balmese.


Alcuni documenti dell'epoca tuttavia, conservati presso l'archivio di Stato di Torino, ci consentono di far luce quantomeno su quelle che potremmo definire le carte inquisitorie. Quando ormai l'epoca oscura della caccia alle streghe sembra volgere alla conclusione, dopo che per alcuni secoli erano state arse sul rogo una quantità impressionante di povere donne, quasi sempre provenienti dagli strati sociali più indigenti, ecco il testo del documento di risposta alla supplica avanzata da Michele Giuseppe Giorgis, ritenuto complice del Garino:


“Ricorso di Michele Giuseppe. Giorgis detenuto nelle Carceri Senatorie come sopposto Complice coll'Abbate Gio. Paolo Garino Castellamonte Parocco di Balme accusato di sortileggj, con Parere dell'Avvocato Fiscale Gen.le Giussiana.



Il Suplicante Michel Giuseppe Giorgis è stato arrestato nel scorso mese di settembre di compagnia dell'Abate Gio. Paulo Garino Castelamonte Parocco del Luogo di Balme Valle di Lanzo, e di Giuseppe Maria Paulo Franc.co Garino d'età d'anni dieci Nepote del detto Abate d'ordine di S.M., e del Vicario Capitulare Tarino, et ciò à causa che detto Giorgis habbi presentato alla medema Real M.à per mezo del Cavaglier Giuen Suplica con diversi Foglij scritti da quali risultava, che detto Giuseppe Maria Paulo Franc.co Garino nell'età d'un anno, è mezo fù consegnato ad Antonia Polletta di Castelamonte Regina delle Streghe (A Castellamonte si narra che la “regina delle streghe”, la Polletta sia stata bruciata sul rogo e che l'inquisitore fosse proprio Don Garino... - Gino Giorda in Una comunità e una società all'ombra del Bric di Filia) , ove per lo spatio di mesi tre L'impastorono con Hostie consecrate, e Reliquie d'ogni sorte, e presi li Ossi d'un Dannato ne habbino formato con la carne del detto Giuseppe Maria Paulo Franc.co altra persona d'una medema sostanza, ed esenza, et doppo cinque anni di Diabolico Magisterio essendo sempre il detto Giuseppe Maria Paulo Franc.co con l'altra Persona formata con sua carne, ossa del Dannato invisibilm.e per l'aria con Spiriti Maligni, comettendo colpe gravissime, e Maleficij ad ogni sorte di Persone, Bestiami, e Campagne, che perciò detto Giuseppe Maria Paulo Franc.co implorava dalla prottetione reggia ottimi Sacerdoti per esser liberato da si Forti legami.

Nelli Foglij poi congiunti alla detta Suplica vi sono li nomi di quantità di Demonij consistenti in sette pagine di carta grande, et in altri foglij vi sono pure scritti li nomi di diversi Stregoni, frà quali vi sono anche persone di qualche distint.ne frà quali detto Giuseppe Maria Paulo Franc.co attesta haver veduto, e ritrovato in ogni operat.ne di stregherie il Frate Vincenzo Speciale del Convento di S. Franc.co di Paula di questa Città.Tal suplica, et Foglij mi sono stati rimessi da S. M., e vedendo che contenevano cose inverisimili andavo dilungando l'affare non sapendo cosa mi dovesse credere tutto che fossi tutti li giorni instato (corretto sembra che fosse scritto invitato) dal detto Giorgis di render captivo il detto Giuseppe Maria Paulo Franc.co , qual Finalm.e ivi fù presentato dal detto Abate suo Zio, e dal detto Giorgis di loro motto proprio, et sentito detto Giuseppe Maria Paulo Franc.co alla presenza delli detti suo Zio, et Giorgis disse d'esser d'età d'ottocento dodici, et che ogni cent'anni ritornava Bambino, e rinasceva, et che era Figlio d'un Frate Guardiano di S. Fran.co di Paula chiamato Paulo Rino, et di Gioanna Acra Abadessa del Monastero di S.ta Teresa ambi della Città di Pariggi, da dove dice esser fugitti, et portatisi in Ox nella Morea, et doppo haver narrato quantità di Stregarie, e Maleficij, che hà com'isso à gionto a dire, che aveva fatto morire S.A.R. il Principe nostro di Piemonte di Gloriosa memoria, è d'haver cospirato per via di tali maleficij il Giorno di S. Gio: Batta 24 del scorso mese di Giugno nelle Persone Reali mentre si ritrovavano alla Tribuna nel Duomo al tempo de Divini Officij.

Ma alla vista de Soldati di Giustizia che traducevano il detto suo Zio, et il Suplicante Giorgis alle Carceri, messosi à piangere ha detto che quanto aveva deposto non era la verità, ma esser stato istigato à cosi dire dal detto Abate suo Zio à forza di mali trattamenti, e battiture, et che il

contenuto in detti Foglij è stato scritto a dettame del medemo suo Zio, parte de quali in presenza del detto Giorgis, qual avendo detto al detto suo Zio che un Frate di S. Fran.co di Paula nominato Fra Vincenzo gli aveva levato la fortuna, e perciò detto suo Zio li dettò, e fece scrivere che il

medemo Frate era un Stregone.

Disse pure esser stato rebatezato per due volte dal medemo suo Zio nella parochiale di Balme alla presenza di Pietro Poma loro servitore, quale esaminato admette d'haver veduto à quello rebattezare per due volte avendo lui assistito, tenendo lui il Cereo Pasquale alle mani per tali funzioni d'ordine di detto Parocho.

Esaminato il Suplicante Giorgis dice esser stato due Giorni alla casa del detto Parocho Garino, sendosi colà portato in cercha di miniere, et avendo sentito che detto Giuseppe Maria Paulo Franc.co nominava tanti Demonij, e Stregoni l'interrogò se aveva veduto Frà Vincenzo di S. Fran.co di Paula, che fa il Speciaro al che li fù risposto chè detto Frate si ritrovava in tutte le funzioni, perciò lo pregò in carità, se cio era vero di fargliene un attest.ne, et in cio dire essendosi assettato vicino al Fornello restò addormentato, et sendo indi stato svegliato detto Parocco, e Fig.lo li lessero l'attest.ne fatta, nella quale si ricorda, che detto Fig.lo s'intitulava Capo de Stregoni General.mo di tutto il mondo, et che aveva avuto detto Frate Vincenzo in tutte le funzioni di Stregarie.

Che in tanto hà ricercato tal attest.ne atteso che detto Frà Vincenzo era sempre in casa di Gio: Pro. Cadena suo Zio, trafettando con Madalena sua Moglie, e perché nell'Heredità di detto suo Zio non si sono ritrovati danari, hà sospettato che detto Frà Vincenzo quelli habbi asportato,e quant'onque detto suo Zio li avesse promisso di lasciarli doppo sua morte doppie dieci con tutti li instromenti di botegha, non hà pottuto haver cos'alcuna, sospettando pure che li Frati di S. Fran.co di Paula uniti à detta sua Zia siano la causa, sospettando ancora che detto Fra Vincenzo habbi sposato detta sua Zia, atteso massime che li fù detto dalla moglie dell'Hoste di Rivoli Sanregra di haver veduto un annello alla medema sua Zia che disse averli datto detto Frate, volendo sostenere che veramente d.° Giuseppe Maria Paulo Franc.co habbi fatto maleficijt massime in casa sua, sendosi sentito lui una notte à stringer il collo, et una delle sue Figlie si è sentita prender per le Treccie.



Oltre à quanto sopra si sono pur ritrovati diversi biglietti indosso al detto Giorgis, de quali alcuni d'inciarmi (1) per non esser colpito d'arma da Fuoco, et per il tormento della Tortura, avendo pure un pezo di carta sovra quale restano scritti il nome del Pontefice, dell'Imperatore, et altri Potentati, che hà tentato di lacerare in tempo del ritrovamento d'essi.

La onde non essendo la Causa contro il Suplicante ancor à suo termine, dovendosi confrontare col detto Parocco delle Balme, attorno quale oggidì il Giudice Ecclesiastico proseguisse la causa, sarei d'Humil.o sentimento si dovesse per ora sospendere le Gratie di S. M. sin'à tanto si creda l'esito del detto Prete per pottere conoscere, qual Dolo sia concorso nella persona del Suplicante nell'haver fatto nominare il Fra Vincenzo, et se habbia avuto qualche parte, et intelligenza col medemo Parocco nella present.ne della suplica e del detto Giovine Gius.e Maria Paulo Fran.co



(firmato) Giussiana



ASTo - Borelli - Editti antichi e nuovi

Parte 3° libro 6° pag. /46-747 Editto del 2 luglio 1673

Carlo Emanuele II Principe di Piemonte




(1)(Degl'incantesimi, ò Stregarie popolarmente chiamati Inchiarmi.

Dichiaratione, chi sarà ritrovato con Inchiarmi adosso, ò convinto d'averli adoperati, sarà condannato à morte ove però il Magistrato non stimasse di moderarla, ò per l'età, ò per l'ignoranza dell Delinquente, ò qualità del delitto, ò circonstanze d'esso. C. Emanuele 2 luglio 1673)


 


Pur non disponendo di ulteriori notizie circa la sorte accaduta al Giorgis e al giovane nipote del parroco, sappiamo invece che il Garino, oggetto probabilmente di infiniti interrogatori e torture ed evidentemente giudicato colpevole, nel 1723 era stato tradotto come prigioniero e indicato come “mentecatto furioso” nelle carceri del Forte di Ceva, dove le spese del suo mantenimento vennero pagate dall'Arcivescovado di Torino fino al 1725, probabile data del suo decesso.


Il Forte di Ceva, di cui rimangono i resti ai nostri giorni, fu realizzato sulla rocca che sovrasta la città, fortificata a partire dal 1560 per volere del Duca Emanuele Filiberto di Savoia e i lavori terminarono sotto Carlo Emanuele. La fortezza aveva forma quadrangolare, su tre lati era cinta da possenti bastioni protettivi, mentre a strapiombo sulla città bassa vi erano le caserme e gli alloggi. Fu inespugnabile per lunghi secoli, e servì anche da prigione per personaggi illustri, tra cui l'illuminista Pietro Giannone (1738-1744). Fu distrutto dai francesi dopo il trattato di Cherasco e la vittoria francese di Marengo.


A Balme, dove sono frequenti i racconti delle cosiddette “masche” e dove “vè al màschess” (vedere le masche) è sinonimo di tribolazione e patimenti, analoghi a quelli che dovette subire il povero Garino, si tramanda una storia in cui il protagonista è, neanche a farlo apposta, un prete.


Non siamo in grado di risalire alla nascita di tale leggenda ma pare, come si racconta ancora, che un tale che trascorreva l'estate in località “Tchavanàttess”, poco prima di giungere al Pian della Mussa dalla parte del sentiero, dove ancora si vedono i resti di un rustico diroccato, vedesse ogni giorno verso l'imbrunire un gatto che tentava di infastidirlo. Pur senza cedere alla paura ma evidentemente turbato da tale insistente presenza, una sera decise di prendere l'archibugio e sparare un colpo contro quell'animale così perseverante.


L'esplosione fece fuggire il gatto zoppicante ma, il giorno successivo, quando l'uomo si recò in paese, si accorse come il parroco, probabile artefice di misteriosi sortilegi (la fisica), si trovasse con un braccio vistosamente appeso al collo.


 


 


 


Le vacanze estive di Fabrizio De Andrè al Pian della Mussa


di Gianni Castagneri


 


Che Balme abbia avuto nel corso degli anni della sua storia, e soprattutto nell'ultimo secolo e mezzo, una lunga serie di personaggi illustri che vi hanno più o meno a lungo soggiornato, è cosa nota.


La presenza di conosciuti artisti, poeti, uomini politici, valenti alpinisti, personalità delle famiglie reali, attori e quanti altri ancora è spesso documentata dalle cronache dell'epoca o dalle firme lasciate sui registri degli alberghi, in particolare quello dell'Albergo Camussot.


E' difficile avere cognizione di quanto questi soggiorni siano rimasti nel cuore di queste personalità e, soprattutto, se e quanto abbiano influito nella prosecuzione delle attività di cui erano o furono successivamente protagonisti. Vorremmo, per nostro compiacimento poterlo credere, pensare che ciò fosse servito in qualche modo a perorare delle cause di sviluppo del paese o quantomeno che nel frutto del loro operato si trovasse una qualche traccia che potesse ricordare anche vagamente la permanenza balmese . Bello sarebbe se ognuno di essi fosse diventato ambasciatore per il mondo delle nostre bellezze paesaggistiche, della nostra cultura, delle nostre peculiarità, forse anche dei nostri problemi.


Non potremo purtroppo mai avere il polso effettivo di tali influenze, anche se possiamo se non altro annotare una disincantata considerazione: la presenza del personaggio illustre o autorevole attesta il prestigio e il fascino di un luogo, che però non è frequentato da personaggi celebri se non è già di per sé importante. E' un po' il cane che si morde la coda, ma la sintesi è un po' la formula da rincorrere per aspirare al raggiungimento di risultati turisticamente positivi. Chi si occupa di turismo sa che la gente và dove c'è altra gente, e a questo non sfuggono le personalità.


Con la conclusione dell'ultima guerra, anche l'affluenza turistica subisce dei cambiamenti, trasformandosi da fenomeno elitario in movimento più di massa.


E' negli anni di questa transizione che un adolescente Fabrizio De Andrè (1940-1999), futuro cantautore, si ritrova a frequentare solitamente la nostra zona coi propri famigliari. Egli è il figlio secondogenito di una famiglia benestante. Il padre è un professore antifascista rifugiatosi nelle campagne astigiane durante la guerra che negli anni successivi ricoprirà la carica di vicesindaco a Genova per diverso tempo.


Luigi Viva, autore del volume “Non per un dio ma nemmeno per gioco” (Feltrinelli, 2000), riporta le affermazioni rilasciate in un intervista dallo stesso De Andrè: “Devo dire che la nostra è stata un'infanzia felice (...). Alla fine della scuola, tutti gli anni, facevamo il mese di mare ai bagni San Nazzaro, un mese di campagna a Revignano d'Asti e infine si andava in Val di Susa (sic!) in un posto che si chiamava Pian della Mussa”.


Al di là dell'inesattezza nell'indicare la vallata, troviamo un'altra testimonianza che conferma questa sua presenza, nel libro di Guido Harari “Fabrizio De Andrè - Un'autobiografia per parole e immagini: una goccia di splendore” (Rizzoli, 2007). Nel volume è contenuta una bella fotografia del 1948 dove Fabrizio appare con il fratello e alcuni amici alla Gorgia di Mondrone, di ritorno da una passeggiata trascorsa alla ricerca di funghi.


Fabrizio manifesterà in quei tempi un'ossessione per le vipere, come riferisce Luigi Viva: “ ...di ritorno dalla vacanza in montagna in Val di Susa Fabrizio fu preso dalla psicosi della vipera. Era letteralmente terrorizzato, piangeva tutto il giorno e la sera non voleva andare a dormire perché temeva ci fosse una vipera sotto al letto. Al ritorno ad Asti nonna Rita convocò un medico che gli somministrò delle pastiglie gialle, le “pillole antivipera” (“erano semplicemente delle molliche di pane ricoperte con polvere di liquerizia”) Fu così che riuscì a liberarsi da questa problema.”


La consuetudine della vacanza montana verrà interrotta alla fine degli anni quaranta, quando la famiglia si trasferirà definitivamente a Genova.


Anche da adulto Fabrizio De Andrè manterrà una passione considerevole per la natura e gli spazi aperti, tanto da trasferirsi nella maturità in Sardegna, dove condurrà una tenuta con la compagna Dori Grezzi.


Anche nei testi delle sue canzoni si troverà spesso un equilibrato connubio tra l'amore per la natura e il rispetto per la persona umana, benché sia difficile individuare qualche traccia di questi giovanili trascorsi balmesi.


E' curioso notare come più o meno negli stessi anni, un altro giovane astigiano, futuro autore di canzoni di successo  per altri artisti ed egli stesso divenuto in seguito fortunato cantautore, trascorra le sue vacanze a Balme. Si tratta di Paolo Conte, che nell'estate del 1970 vi farà ritorno per una breve vacanza, nella quale allieterà le serate di turisti e villeggianti nel salone dell'albergo Camussot.


 


Le peonie di San Giovanni


di Ariela Robetto


 


Gli storici Giovanni e Pasquale Milone, nel loro studio relativo alle Valli di Lanzo del 1911, scrivevano: «Una cinquantina d'anni fa in Balme usavasi ancora il giorno di S. Giovanni Battista ornare esternamente la cappella della Visitazione con fronde e fiori, in particolare con peonie selvatiche, che diconsi ivi fiori di S. Giovanni, nonché inalzare presso la stessa cappella una specie di albero della cuccagna, adorno di fiori e di nastri».


La ricorrenza del Battista doveva essere particolarmente sentita in paese sin dai tempi della sua costituzione, portando il nome del santo colui il quale può essere considerato il capostipite dei balmesi, Gioanni (Jouan) Castagnero Ljintch.


La cappella della Visitazione della Beata Vergine, o di Sant'Urbano, venne costruita nel 1608; nel 1674, come riferisce la Visita Pastorale dell'Arcivescovo monsignor Michele Beggiamo, era chiusa davanti con cancelli, presentava un'icona dipinta sul muro ed apparteneva alla comunità. Era situata al Gouièt, presso una minuscola piazza dalla quale si potevano ammirare gli affreschi del Rouciàss; ancora rilevata dalla Mappa catastale Rabbini nel 1898, fu demolita nel 1909 per consentire la costruzione della strada rotabile diretta al Piano della Mussa e ricostruita nell'attuale collocazione. Dalle planimetrie appare una costruzione di ridotte dimensioni, dalla pianta rettangolare con un accentuato portico antistante; probabilmente svolgeva la funzione di cappella del “castello”. La Madonna della Visitazione nelle Valli di Lanzo è ancora venerata quale Madonna del vento, Madòna dou vänt, a Mecca, frazione di Monastero di Lanzo, Oviglia, frazione di Lanzo e Candiela, frazione di Chialamberto. Tale è anche la prerogativa di Sant'Urbano, invocato in Balme come protettore contro il vento e le intemperie, probabilmente associato alla Vergine della Visitazione in epoca successiva alla fondazione della cappella.


L'albero che i fratelli Milone definiscono, impropriamente, “della cuccagna” deve sicuramente farsi risalire alla tradizione dei cosiddetti “maggi”, considerati come esseri animati cui, anticamente, si attribuiva il potere di far cadere la pioggia, splendere il sole, moltiplicare le mandrie e le greggi e far partorire felicemente le donne. Essi venivano innalzati sulle piazze, davanti alle dimore dei nobili ed  alla porta delle cappelle in maggio (tradizione ancora viva a Balangero, presso l'oratorio di San Vittore, durante la festa dei coscritti), oppure nella festività di San Giovanni Battista (ritenuta un tempo il solstizio d'estate), oppure ancora a ferragosto (usanza rispettata a Ceres nella ricorrenza dell'Assunta).


L'uso di decorare l'albero con “fiori e nastri” risale a tempi antichissimi: esso è documentato in Grecia dove al pino sacro si appendevano fasce e crotali (strumenti simili alle nacchere) nel culto rivolto al dio Dioniso, così come nella romana Pompei era addobbato un mirto con nastri, emblemi dionisiaci, un aspersorio, un simulacro del dio.  Nelle Valli di Lanzo la tradizione della rama adornata di bindej ed infissa nel pane della carità è ancora presente in molti paesi, così come, a Cantoira, rimane l'usanza a Carnevale di portare lungo il paese un albero di agrifoglio agghindato con nastri e dolciumi e lasciarlo esposto dal 6 gennaio sino al martedì grasso.


La peonia con cui si abbelliva la cappella è chiamata a Balme piouna oppure fiou at San Giàn proprio perché in piena fioritura alla fine di giugno, quando cade la ricorrenza del Battista. A metà Ottocento le piante di peonia pellegrina dovevano ancora essere abbastanza diffuse, poi la raccolta indiscriminata cominciò a ridurre il loro numero. Gli autori che scrivevano delle Valli di Lanzo iniziarono ad occuparsene e a denunciare la loro scomparsa. Filippo Vallino, in un testo edito dal CAI nel 1904, annotava: «...la peonia peregrina i cui enormi ed ammirevoli fiori rosei sono così notevoli da essere rimarcati perfino dai montanari. Essi abbelliscono in giugno e luglio i dirupi della riva sinistra del torrente nella parte superiore della forra ove essa si apre e s'allarga nel Piano della Mussa. Non è esclusiva di questi luoghi, ma in ogni modo è ovunque molto rara». Sempre nello stesso volume il botanico Flavio Santi evidenziava come a Balme fosse possibile incontrare «fra le pietre la ormai rara paeonia peregrina dal vistoso fiore di color carminio. Questa e la Sacra di San Michele sono le uniche località del Piemonte in cui cresce ancora questa bella specie; sul Musiné, dove esisteva un tempo, ora è già scomparsa». Don Secondo Carpano nel suo studio del 1931 ribadiva le considerazioni del Santi e Monsignor Silvio Solero nel 1955 elencava tra la flora della Val d'Ala «le peonie peregrine (ormai rarissime)». La stazione di peonia in Balme fu poi descritta accuratamente nello studio di Ariello, Rosenkrantz e Tosco del 1974: essi individuarono tre localizzazioni molto ravvicinate sulla sinistra orografica della Stura (già indicate nel 1904); in provincia di Torino segnalavano la presenza del fiore anche in Val Sangone, presso Trana e in Val di Susa presso la Sacra di San Michele.


Nel 1984 Aldo Chiariglione annotava: «Nell'alta Valle d'Ala, tra larici radi e su pascoli sassosi, cresce la paeonia peregrina specie molto vistosa per i suoi grandi fiori rossi. A causa dell'attenzione di cui è sempre stata oggetto e della relativa raccolta che se ne è fatta, questa pianta è scomparsa da moltissime località dell'arco alpina in cui era presente, diventando rara ovunque».


Attualmente, nelle Valli di Lanzo il fiore è presente in piccoli numeri sul territorio del comune di Balme nella stazione già segnalata presso il Pian della Mussa e nel Vallone del Paschiet.


La peonia, secondo la tradizione, deriva il nome da Peone, medico degli dei greci. Omero, nel quinto canto dell'Iliade, riferisce che egli curò con questa pianta una ferita del dio Plutone, fratello di Giove e re degli Inferi, il quale era stato ferito da Ercole durante la sua dodicesima fatica. Il dio per ricambiare Peone gli fece dono dell'immortalità trasformandolo nel fiore della peonia che godette sempre di grande rinomanza essendo l'unico fiore coltivato sull'Olimpo, il monte degli dei.


Presso i Greci e i Romani era ritenuta pianta medicinale da usare nella cura dell'epilessia, dell'insonnia e per la guarigione delle piaghe infette; la sua raccolta  con queste finalità si protrasse nei secoli. Proprio le proprietà curative (si asseriva che masticando il rizoma della pianta si sarebbero fermate le crisi epilettiche), oltre alla bellezza del fiore, portarono alla sua raccolta indiscriminata e al rischio della sua estinzione. Oggi, benché siano riconosciute le sue proprietà antispasmodiche, viene usata con molta precauzione perché è risultata fortemente tossica.


Inutile ribadire l'assoluta proibizione della sua raccolta: si può godere della meraviglia dei fiori, senza la necessità di impossessarsene per vederli velocemente appassire in un vaso. Siamo ospiti sulla terra, non padroni del pianeta.


 


Umberto di Savoia Principe di Piemonte incontra i Balmesi


di Claudio Santacroce


 


Verso la fine del 1926 S.A.R. Umberto di Savoia Principe di Piemonte compì un'inattesa visita privata a Balme. La notizia del fatto fu invece riportata sul settimanale edito a Ciriè “Il Progresso del Canavese” n. 49 del 10 dicembre:


« - Ospite illustre.


Giovedì, 2 corr., in stretto incognito, S.A.R. il Principe di Piemonte ha voluto onorare Balme di una sua breve visita.


S.A.R. arrivò fra noi verso le sedici, e abbandonata l'automobile all'entrata del paese (ove giunse grazie alla solerzia dei Podestà dei comuni che provvidero con molta sollecitudine allo sgombro della neve), proseguì a piedi col seguito all'al­bergo Belvedere di proprietà del signor Bricco cav. Stefano Podestà del Comune.


Nessuno ebbe il più lontano pensiero di ospitare una sì gradita e augusta persona, poiché rimase sconosciuto fino al momento della partenza.


Non appena riconosciuto da qualche per­sona, subito si sparse la voce fra i compae­sani e tutti sono accorsi per portare il proprio benvenuto e improvvisare una pic­cola dimostrazione di affetto al graditis­simo ospite. Ma ahimè! troppo tardi: il sorridente e amato Principe già aveva fatto ritorno alla città.


In serata, negli alberghi e nelle famiglie dei nostri patriottici montanari tanto affe­zionati alla Casa Sabauda, non si parlò d'altro; tutti erano felici della visita ri­cevuta, ma spiacenti di non aver potuto per un solo istante esternare la loro sim­patia e devozione al futuro Re d'Italia.


In tutti corse la domanda: verrà ancora un'altra volta? Verrà in occasione delle prossime gare sciistiche?


Sembra che a qualcuno S.A.R. abbia manifestato il proposito di ritornare, e ciò è di vivo conforto per questa popolazione.


Al ritorno, nei comuni di Mondrone e Ala di Stura, riconosciuto e salutato da diverse persone, a tutti rispose colla Sua abituale cortesia, lasciando in tutti un vivo compiacimento nel vedere finalmente anche nella nostra valle l'amato Principe.


Anche noi da queste colonne, ringraziamo e facciamo voti che l'Augusto Prin­cipe ci onori ancora di numerose e lunghe visite».


Alcuni mesi dopo, il 14 maggio 1927 il Principe incontrò un'altra volta alcuni Balmesi. Quel giorno si tenne al Teatro Carignano di Torino la «Mostra Piemontese del Costume» abbinata alla «Mostra della Moda». L'iniziativa era dell'Associazione di Previdenza tra gli Artisti, di cui era presidente il celebre scultore sen. comm. Leonardo Bistolfi.


La serata prevedeva la presentazione dei modelli realizzati dalle grandi sartorie torinesi, uno spettacolo teatrale con i noti attori Elsa Merlini e Aristide Baghetti ed una sfilata dei costumi popolari delle vallate alpine del Piemonte e della Valle d'Aosta. Alla serata presenziarono oltre al Principe di Piemonte, la principessa Adelaide di Savoia-Carignano, Filiberto duca di Pistoia, Adalberto duca di Bergamo, il governatore della Somalia Cesare Maria De Vecchi.


Le Valli di Lanzo erano rappresentate dai gruppi di Ceres, Ala e Balme. Il 16 maggio il quotidiano torinese “Gazzetta del Popolo” annotava: «Ricordiamo che l'altra sera il gruppo delle montanare di Balme, nei caratteristici costumi, fu ricevuto dal Principe di Piemonte, nel palco reale. La signora del podestà del pittoresco centro alpino offrì al Principe un mazzo di fiori colti nei prati e sugli altipiani della bella zona montana». La signora era Antonia Drovetto, moglie del podestà cav. Stefano Bricco Camussòt.


 


La stèila


di Gianni Castagneri


 


Per tanti anni il fascino di un curioso fenomeno naturale, è rimasto per me un enigma inspiegabile. Quando bambino e poi adolescente trascorrevo alcuni giorni in alpeggio coi nonni materni, mi ritrovavo immerso in un mondo che era un po' la congiunzione tra il medioevo e la modernità.


Nei caseggiati della Coumba e di Pian dla Trènt, stazioni transitorie della monticazione estiva, venivo a contatto con aspetti di vita che ben presto sarebbero stati sostituiti in un primo tempo dai ricordi, quindi da successive sensazioni di abbandono e poi, in ultimo, da impietose  immagini di rovina. Solo molto tempo più tardi, avrei scavato nel mio vissuto per ripescare significati e curiosità, o per riscoprire emozioni e reminiscenze, nel tentativo, probabilmente parziale, di trasmettere qualcosa a quanti sarebbero venuti dopo, nell'auspicio che almeno qualcuno ne avesse un seppur minimo interesse.


Nessuna parola e nessuna figura potranno mai restituire l'odore del carburo utilizzato per alimentare le lampade per l'illuminazione, oppure l'effluvio che ti accoglieva ad ogni transumanza, nell'arrivo ai casolari della stazione successiva, emanato da un miscuglio di vegetazione e di traspirazione del terreno, in una combinazione che variava da luogo a luogo. E nemmeno le suggestioni particolari che si manifestavano nel rimanere rintanati durante gli acquazzoni estivi, stretti attorno al camino, oppure negli umidi mattini d'estate, quando sotto le coperte scorgevi la nebbia che cercava di infilarsi nelle larghe fessure della porta. E i sapori incancellabili della panna raccolta sotto il coperchio della zangola (lou bouèrou souta aou cuvèrquiou), della ricotta liquida (lou varcòl)  immersa nel canale dell'acqua (la roia) e rimestata fino al raffreddamento, e poi consumata con la polenta. Per non parlare del risotto riempito di burro fuso un po' abbrustolito e toma che, là in alto, lontano dai sensi di colpa di un colesterolo in agguato, sembrava ancora più buono.


Come scordare poi il ritorno sotto il cocente sole pomeridiano con le provviste necessarie per i giorni successivi, dopo la discesa con l'asino carico di panetti di burro e forme di toma per servire i clienti abituali. O ancora le serate trascorse ascoltando la radio gracchiare programmi musicali in onde corte (ricorderò sempre Radio Lubiana...).


In quella che era un po' una collaborazione all'attività dei nonni e un po' un'iniziazione alle ruvide regole della vita in montagna, ero spesso immerso in racconti di vite vissute, in narrazioni di personaggi quasi leggendari e nell'apprendimento di notizie ordinarie della vita di tutti i giorni.


Mi capitava sovente di accompagnare le mandrie al pascolo, e proprio in una di queste occasioni, mio nonno Neti (Giovanni Maria Castagneri), mentre le mucche si saziavano delle erbe rigogliose nell'ampio vallone della Serandàtta e dell'alpeggio diroccato detto Fountàna Cuverquià, mi mise al corrente dell'esistenza della stèila.


Stèila, termine che in dialetto significa stella, era un segnale luminoso che attorno a mezzogiorno dell'ora legale, alle undici di quella solare, appariva sul versante roccioso detto di Piatouràt, esposto appunto a mezzogiorno, che si trova di fronte, poco a monte della frazione di Bogone.


Quando esso cominciava ad evidenziarsi, mio nonno sapeva che era l'ora di radunare le bestie e iniziare il percorso di ritorno verso casa.


Per un ragazzino questa era una fenomeno realmente sorprendente,  ma a dispetto delle ripetute spiegazioni, in quella parete immensa fatta di pietra e spaccature, cenge erbose  e rigagnoli, arsa dal sole e terreno prediletto dagli stambecchi, io non riuscii mai a distinguere questa particolarità. Soltanto mi rimase impressa la specificità morfologica della roccia, all'interno della quale, quel qualcosa che brillava mi risultava inspiegabilmente nascosto.


Solo qualche decennio dopo, esattamente la scorsa estate, spinto dalla mia ricerca di appassionato di storia e di cultura locale, svelai l'arcano.


Accidentalmente, salendo al Pian della Mussa, alzai la testa e mi apparve, come una rivelazione, la soluzione del mistero.


Quello che mi aspettavo fosse un qualche segnale sfavillante, altro non era che un gioco di luci che, proprio a mezzogiorno, fa sì che nella larga spaccatura ombrosa di una grande balza rocciosa, proprio quella che ricordavo, appaia, per poi allargarsi lentamente, una piccola sporgenza di pietra illuminata dal sole.


 Dal sentiero che da Balme conduce al Pian della Mussa, nei pressi di Bogone, che si trova a valle della conca della Serandàtta, si assiste senza difficoltà al curioso fenomeno.


Come avviene in tutte le aree montuose dell'arco alpino, si tratta di una meridiana naturale, nel gergo specifico definita “cronotopo”,  che sfrutta la conformazione del suolo per mostrare l'ora. E' un po' come la Rocca di Nona di Ala, che dovrebbe indicare, nel punto di allineamento tra il sole e la chiesa, l'ora nona, le quindici attuali, retaggio della suddivisione approssimativa della giornata nelle ore canoniche, sviluppata nella chiesa cristiana per la preghiera in comune.


Nel nostro caso, pur non assicurando una precisione svizzera,  la stèila ha garantito per secoli quella funzione che probabilmente sarebbe mancata diversamente, con la scarsità di orologi e in luoghi dove è difficile in ogni caso sentire il rintocco delle campane.


Chissà quanti di questi riferimenti, un tempo conosciuti e utilizzati sul territorio, sono scomparsi assieme a coloro che ne hanno tratto un beneficio. O meglio, ne sono sopravvissuti, ma più nessuno saprà individuarli, come una lingua desueta che non si è più in grado di interpretare.


Senza bisogno di ricarica e per chissà quanto tempo ancora, la stèila sarà a disposizione di quelli che sapranno riconoscerla e interpretarla, semplicemente sollevando un po' il capo per scrutare lassù, dove non tutti, come è successo al sottoscritto,  hanno sempre la capacità di vedere.


 






 


Parlén a nosta moda...(13) Al s' èrbess – Le erbe


di Gianni Castagneri


 


              francoprovenzale                                           pronuncia                                                  italiano













































































































































sicòria



sicòria



tarassaco



barbaboùc



barbabùc



barba di becco



sparss



sparss



asparago selvatico (arancus dioicum) barba di capra



lavàssi



lavàssi



farfaraccio



tuvél



tuvél



rabarbaro selvatico (rumex alpinus)



varcoenhou



varchêgnu



buon enrico



avràlou



avràlu



veratro



canamìa



canamìa



camomilla



ariundèless



ariundèless



malva



fouru



fùru



cardus nutans



foeidjess



fêigess



felci



argalìssia di mu



argalissìa di mû



felce dolce (polipodium vulgare)



piantài



piantài



piantaggine



tacapoùi



tacapùi



bardana



urtiess



ûrtiess



ortiche



asubia



asûbia



acetosa



biavàtta



biavàtta



bistorta



sànhi



sàgni



carex sempervirens



erba di tchamoùss



erba di ciamùss



festuca



erba léssia



erba léssia



erba scivolosa e robusta che cresce nei lariceti



sounaiàt



sunaiàt



silene vulgaris



cumel



cûmel



cumino dei prati



la bussi



la bûssi



il filo d'erba



la fòii



la fòii



la foglia d'erba



l'erba sàtchi



l'erba sâcci



l'erba secca



l'erba vàrda



l'erba vârda



l'erba verde



l'erba pàssa



L'erba pàssa



l'erba appassita



 


 


Cronologia Storica di Balme 1800 - 1899


di Gianni Castagneri


 


1800  Carestia. La comunità prende in prestito dal governo granaglia per 1926,73 lire.


-   L'esercito austriaco prospetta l'invasione della Savoia passando per il passo del Collerin.


1810-11  Si effettua la suddivisione dei terreni privati al Pian della Mussa, a cura di Giacomo Antonio Castagneri.


1811  Il curato don Stefano Alasonatti fa costruire in sito più sano la cappella di S. Anna ai Cornetti, spendendo 331 lire. La stessa verrà decorata nel 1843.


1813-14  I mastri Garino e Domenico e Giacomo Bricco rifanno la cappella di S. Urbano.


1815  Carestia. Il Comune ottiene in prestito dall'Intendenza lire 270. Il Comune di Chialambertetto 200 emine di granaglie, con dilazione al pagamento a tutto il 1817.


1817  Si ha notizia dell'esistenza di un piccolo albergo in Balme dall'insegna tuttora esistente nei pressi dell'attuale Camussot.


1820  Viene dipinta l'icona dell'altar maggiore per 160 lire.


1823  Balme rinuncia al diritto di nomina del parroco, non potendo somministrare allo stesso una congrua sufficiente.


1824   Balme con 513 abitanti raggiunge la sua massima espansione demografica.


1825  Viene collocato l'orologio sul campanile della parrocchiale. Era stato acquistato in un convento sul Cenisio.


1829  La comunità di Chialambertetto supplica il Governo del Re per un prestito di 200 emine di meliga e riso.


1832 – 33  Carestia per totale fallimento dei raccolti, causata da una forte nevicata in primavera inoltrata. Il comune ottiene dal Governo un prestito di 1500 lire.


1833-35  Vertenza e lite tra il comune e le Regie Finanze riguardo al prestito concesso nel 1800 di 1926,73 lire. Fu deciso il pagamento del 5%sul capitale.


1843  Viene decorata dai Cubito di San Maurizio la chiesa parrocchiale.


1844  Con decreto reale del 19 novembre viene soppressa la comunità di Chialambertetto e dichiarata aggregata a quella di Balme a partire dal 1° gennaio 1845.


1845  Il Comune acquista dalla parrocchia una parte di stabile nel corpo della chiesa da destinare a nuova casa comunale.


- Spaventoso incendio ai Cornetti distrugge l'abitazione di 7 famiglie.


1857  In estate l'ing. Tonini raggiunge per primo la vetta della Ciamarella, della Bessanese, del Collerin, dell'Uja di Mondrone e della Torre d'Ovarda.


1860  Numerosi Tirolesi danno l'avvia alla distillazione della genziana lutea al Pian della Mussa.


1864 Nel novembre Angelo Castagneri (Barbisìn) di vent'anni, cade in un crepaccio del Ghiacciaio d'Arnàs. Viene estratto ancora vivo dopo otto giorni.


1866  Il catasto viene individuato cartograficamente nella Mappa Rabbini.


1868  In  agosto alluvione ed esondazioni


1869  In agosto con pubblica sottoscrizione si dota il campanile di una seconda campana.


1873  Incendio ai Cornetti che distrugge cinque case.


1874 Il 24 dicembre Alessandro Martelli, Luigi Vaccarone e la guida Antonio Castagneri (Tuni) effettuano la prima salita invernale all'Uja di Mondrone, che segna l'inizio dell'alpinismo invernale italiano.


1875 Il pittore Alessandro Balduino, illustratore di numerose pubblicazioni sociali del CAI, frequenta assiduamente le montagne balmesi.


-Il pittore Francesco Gonin, illustratore dei Promessi Sposi e villeggiante di Ala, sale frequentemente a Balme per le sue escursioni.


1876  Il 24 giugno viene inaugurato l'Osservatorio Meteorologico, realizzato su iniziativa di Padre Denza e del Cai. Della gestione se ne occupa il parroco don Didier de la Motta.


1877  Viene ultimata la strada per i Cornetti, costata 1890 lire.


1879  Dall' inizio di novembre 1878 al 19 aprile 1879 lo spessore della neve al suolo non fu mai inferiore ai 2 metri e molte volte raggiunse i 3 metri nell'abitato e i 4 al Pian della Mussa. In sei mesi non si ebbero più di quattro giorni consecutivi di bel tempo. Il 10 maggio la neve era ancora alta 2 metri in Balme e 4 alla Mussa. In quei giorni cadde tra Chialambertetto e Molette una valanga più alta del campanile della chiesa. Il 14 giugno la neve al Pian della Mussa era ancora alta  35 once (147 cm) e ai Cornetti copriva ancora buona parte dei prati. In giugno e luglio si ebbe il gelo in Balme. Si cominciò a salire alla Mussa col bestiame il 26 luglio.


1880 La sezione torinese del Club Alpino Italiano fa costruire al Crot del Ciaussinè (m.2649) un rifugio che dedica al geologo Bartolomeo Gastaldi.


- In agosto San Leonardo Murialdo sale sulla vetta della Ciamarella.


- Viene costruita ai Cornetti Villa Teja.


1881  Si inizia la realizzazione della strada carreggiabile Ala – Balme.


- Il 29 giugno Guido Rey, alpinista e fotografo, nonché nipote di Quintino Sella, fondatore del CAI, inizia a frequentare le montagne balmesi, instaurando una lunga amicizia con la guida Antonio Castagneri (Touni).


1882  Costruzione del ponte in legno sulla cascata della Stura, presso il capoluogo. Distrutto da una valanga nel 1884, viene ricostruito l'anno successivo.


- Si abbatte la cappella della Natività di Maria, sita all'ingresso dell'abitato di Balme, trovandosi sul tracciato della carreggiabile.


1883  Il 9 luglio il caricaturista Casimiro Teja lascia uno schizzo sul libro dell'albergo Belvedere. Negli stessi giorni sono a Balme altri artisti e promotori culturali di rilievo: Carlo Pittara, Federico Pastoris di Castelrosso, Alfredo D'Andrade di Lisbona. Altri bozzetti vengono realizzati sullo stesso registro il giorno 24 da Camillo Marietti, disegnatore satirico.


- Il 26 dicembre un incendio distrugge cinque case alla borgata Ferreri (Frè).


1885  Il 18 gennaio, a seguito di una nevicata di parecchi giorni, precipita sull'abitato di Balme una valanga che spazza via la casa del maestro comunale, sotterrandovi sette persone. Di queste solo tre saranno estratte ancora vive. Lo stesso giorno un'altra valanga cade a Molera uccidendo un adulto e un bambino e una terza seppellisce Chialambertetto.


- Il 6 agosto la scrittrice napoletana Maria Savi Lopez è a Balme per documentare le leggende e i racconti dei montanari.


1887  il 1°luglio viene terminata la strada tra Ala e Balme. Verrà inaugurata il 17 luglio.


1888 Il 27 e 28 febbraio cadono parecchie valanghe senza recare danni.


1889 Il 28 settembre uno spaventoso incendio distrugge cinque case ai Cornetti.


1890  Tra il 14 e il 19 aprile nevicata quasi continua, con oltre 3 metri di neve al suolo ma nessuna valanga.


- L'8 luglio 1890 il direttore del”Fischietto” e disegnatore umorista Arturo Calleri “Caronte” visita la zona e lascia un suo disegno a ricordo del soggiorno.


- Il 4 agosto  Giosuè Carducci lascia la propria firma e una poesia sul registro dell'albergo “Camussot” dove si trova in villeggiatura.


- Il 18 agosto scompare sui ghiacciai del Monte Bianco Antonio Castagneri (Toni dei Tuni), tra le migliori guide alpine del suo tempo, autore di 43 prime ascensioni.


-Il 19 dicembre Guido Rey tiene una lunga e sentita commemorazione di Antonio Castagneri, in occasione della riunione della sezione del CAI di Torino.


1891  Una piena terribile rovina le campagne e allaga le case.


1892 Il 5 marzo alle 18,30 forte scossa di terremoto sussultorio della durata di circa 3 secondi.


1893 Apre l'albergo Reale (inizialmente chiamato “delle Alpi”).


- Ad ottobre l'aeronauta Charbonnet, in viaggio di nozze con la sposa ed un amico, urta col suo aerostato la parete est della Bessanese.


1896  Adolfo Kind e Stefano Roiti utilizzano per la prima volta in Italia gli sci in un escursione tra Balme e Pian della Mussa.


- Il 26 dicembre il Consiglio Comunale di Torino approva l'acquisizione delle sorgenti della Mussa.


1897 Viene ristrutturato il campanile.


Fine ‘800  Il pittore Angelo Garino dipinge la processione dell'Assunta traendo ispirazione da fotografie del 1898.


1899  Viene costruito l'Hotel Broggi al Pian della Mussa, non ancora raggiungibile dalla strada.


- L'8 di agosto viene inaugurato sulla Ciamarella un pilone dedicato alla Consolata e tre sacerdoti alpinisti vi celebrano la messa.


 


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