Mi dispiace dover leggere la lettera del sig. Michelini, dopo che quasi settant'anni di storia hanno sancito dove stesse la parte giusta e dove quella sbagliata che, fortunatamente per tutte le generazioni che vennero dopo, e anche per noi, fu quella perdente.
Mi dispiace soprattutto perché le nostre valli furono teatro, loro malgrado, di brutalità e di morti, che lasciarono dopo il 1945 un territorio fragile, socialmente ed economicamente depresso, che in molte situazioni stenta ancora oggi a risollevarsi.
Ma la bontà della scelta giusta è da ricercarsi se non prima, almeno fin dall'emanazione delle infauste leggi razziali del '38, quando molti ebrei torinesi trovarono rifugio e protezione dai cosiddetti “giusti della montagna”, che seppero ribellarsi al crimine orrendo perpetrato da chi negava loro il diritto di esistere.
Tra i molti valligiani che si adoperarono per aiutare lo sconfinamento oltralpe di quanti cercavano un rifugio sicuro, vi erano molti balmesi, abili nel valicare i colli a tremila metri anche in inverno. Tra loro voglio ricordare la figura di un mio prozio, Bartolomeo Castagneri, che ferito e catturato a pochi giorni dalla Liberazione, fu malamente martirizzato e lasciato ad agonizzare per molte ore, fino alla morte, senza che nessuno, nemmeno il prete, potesse avvicinarsi.
E ancora i tre partigiani che, nascosti tra le rocce di Balme, malati e feriti, si consegnarono al nemico, con la convinzione di aver salva la vita, e che invece dopo sevizie e soprusi , furono fucilati il giorno successivo. Moltissime sono le storie che hanno segnato la storia della nostra zona, ma per i montanari la parte sbagliata era comunque quella che propugnava la guerra, quella che il 10 giugno 1940 aveva stabilito che i villaggi confinanti tra Piemonte e Savoia, tra i quali c'erano da sempre amichevoli scambi commerciali e culturali, improvvisamente diventavano avversari da combattere.
Per loro sempre, nel corso dei secoli, era dalla parte errata chiunque volesse la guerra, che coinvolgeva le migliori generazioni in conflitti lontani e incomprensibili. A maggior ragione sbagliava chi aveva coinvolto le famiglie, le case, i paesi in lotte fratricide assolutamente distruttive, come avvenne nel corso dell'ultimo conflitto.
In queste valli, dove la Resistenza ebbe la sua massima espressione, dove il contributo dato al ritorno alla libertà fu ben presto dimenticato innescando processi di degrado e spopolamento talvolta non ancora conclusi, proprio il termine “resistenza” si veste di nuovi significati, dove possano riconoscersi coloro che credono, senza ricorrere alle armi, che sia possibile un futuro dignitoso attraverso un opera di sensibilizzazione e di rifiuto di ogni marginalità.
Ora tutto ciò, che meriterebbe ben altri approfondimenti, non deve essere un modo per stuzzicare nuove polemiche fuori tempo massimo, quanto piuttosto generare una riflessione volta bensì a promuovere ogni giorno i valori che rendano irripetibili quelle vicende, attraverso il rispetto del prossimo e della sua identità, delle sue convinzioni, siano esse politiche, culturali o religiose. Ideali di tolleranza verso le diversità, opposti al rischio di omologazione e di annullamento delle proprie convinzioni. Aspirazioni che vanno coltivate con caparbietà e determinazione, poiché rappresentano la più solida garanzia verso un progresso civile e democratico, l'impulso autentico ed indispensabile per la costruzione di un mondo solido fondato finalmente sulla pace.
Gianni Castagneri – Balme (TO)