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Il Papalagi (europeo) 3 maggio 2010, 21:52

Luca

iscritto: 11/09

messaggi: 53

Dei cassoni di pietra, delle fessure di pietra, delle isole di pietra e di ciò che vi sta frammezzo

Il Papalagi vive in un guscio solido come una conchiglia marina. Vive fra le pietre come la scolopendra fra le fessure della lava. Le pietre sono tutt'intorno a lui, accanto e sopra di lui. La sua capanna somiglia a un cassone di pietra messo in piedi.

Una cassa che ha molti scomparti ed è tutta bucata.

C'è un solo punto in cui si può entrare e uscire da questa cassa di pietra. Questa apertura il Papalagi la chiama ingresso quando entra nella capanna, uscita quando ne esce fuori, sebbene entrambe siano una sola e unica cosa. In questa apertura c'è una grande ala di legno che bisogna spingere con forza per poter entrare nella capanna. Ma anche così si è soltanto al principio e bisogna spingere ancora parecchie ali prima di essere veramente nella capanna.

La maggior parte delle capanne sono abitate da più persone di quante ne vivano in un solo villaggio delle Samoa, perciò è necessario sapere con esattezza il nome della famiglia che si vuole andare a trovare. Poiché ogni famiglia ha per sé una parte speciale della cassa di pietra o sopra o sotto o più avanti. E una famiglia spesso non sa nulla delle altre, nulla di nulla, come se fra loro non ci fossero solo pareti di pietra, ma Manono, Apolima, Savaii (tre delle isole Samoa, n.d.r.) e molti mari. Spesso sanno appena il loro nome, e quando s'incontrano nel buco da cui si entra si fanno solo di malavoglia un cenno di saluto o si borbottano dietro come insetti ostili. Come se fossero infastiditi di vivere l'uno accanto all'altro.

Se la famiglia sta in alto, proprio sotto il tetto della capanna, allora bisogna salire molti rami a zig-zag o in tondo, fino a che si arriva al punto dove il nome della famiglia sta scritto sul muro. Lì ci si trova davanti un grazioso capezzolo femminile finto sul quale si preme fino a che risuona un grido che chiama la famiglia. La famiglia guarda attraverso un piccolo buco rotondo munito di piccoli ferri, per vedere se si tratta di un nemico. In tal caso non apre. Se invece riconosce l'amico, allora subito slega una grossa ala di legno, accuratamente serrata, e la tira verso di sé, in modo che l'ospite attraverso Il passaggio possa entrare nella capanna vera e propria. Questa è a sua volta divisa da molte ripide pareti di pietra, e si passa di ala in ala, da un cassone a un altro cassone sempre più piccolo. Ogni cassone, che il Papalagi chiama stanza, ha un buco (quando è grande anche due o tre) attraverso il quale entra la luce. Questi buchi sono chiusi con un vetro, che si può togliere quando si vuole far entrare aria fresca nei cassoni, cosa quanto mai necessaria. Ci sono però anche molti cassoni senza buchi per l'aria e per la luce.

Un samoano morirebbe ben presto soffocato in questi cassoni, perché qui non passa mai un soffio d'aria fresca come in qualsiasi capanna delle Samoa. E anche gli odori della cucina cercano una via d'uscita. Spesso però anche l'aria che viene da fuori non è migliore; e si fatica a capire come una creatura qui non debba morire, come per la nostalgia dell'aria non diventi un uccello, come non gli crescano le ali per potersi levare in volo e andarsene dove c'è aria e sole.

Ogni cassone ha un suo uso particolare. Il più grande e più illuminato serve per i ricevimenti e gli incontri della famiglia o per le visite, un altro per dormire. Qui sono stese le stuoie, vale a dire esse stanno sollevate su un traliccio di legno che ha delle lunghe gambe, affinché l'aria possa passare sotto le stuoie. Un terzo cassone è per consumare il cibo e per fare le nuvole di fumo, un quarto serve a raccogliervi le scorte di cibo, nel quinto si cucina, e nell'ultimo e più piccolo ci si bagna. Questo è il luogo più bello di tutti. È ricoperto di grandi specchi, il pavimento e decorato con un rivestimento di pietra colorata e nel mezzo c'è una grande conca di metallo o di pietra in cui scorre acqua che è stata al sole e acqua che non è stata al sole. In questa conca, che è molto grande, addirittura più grande della tomba di un capo, ci si entra per ripulirsi e lavarsi di dosso la molta polvere dei cassoni di pietra. Naturalmente ci sono anche capanne con più cassoni ancora. Ce ne sono persino di quelle in cui anche ogni bambino ha il suo cassone e anche ogni servo del Papalagi; sicuro, persino i suoi cani e i suoi cavalli hanno i loro cassoni.

Fra questi cassoni il Papalagi trascorre dunque la sua vita. Sta ora in questo, ora in quel cassone, secondo l'ora e il momento. I suoi figli crescono qui, alti sopra la terra, spesso più alti di una palma adulta, in mezzo alle pietre. Di tanto in tanto il Papalagi lascia i suoi cassoni privati come lui li chiama, per trasferirsi in un altro cassone, riservato ai suoi affari, per i quali non vuole essere disturbato e non vuole avere intorno donne e bambini. In queste ore le donne e le fanciulle stanno nella cucina e cuociono il cibo, o tirano a lucido le pelli da piedi, o lavano panni. Quando sono ricche e possono tenere dei servi, sono questi che fanno il lavoro, mentre loro vanno a fare visite o a prendere nuove provviste.

In questa maniera vivono in Europa tante creature quante sono le palme che crescono a Samoa, anzi, molte di più. Alcune hanno il desiderio di boschi e di sole e di molta luce, ma questa in generale e considerata una malattia che bisogna combattere dentro di sé. Quando qualcuno non è soddisfatto di questa vita di pietra, si usa dire che non è normale.

Questi cassoni di pietra si trovano spesso molto numerosi l'uno accanto all'altro, come uomini spalla a spalla, e in ciascuno vivono tanti Papalagi quanti ce ne sono in un villaggio delle Samoa. A un tiro di pietra, dalla parte opposta, si leva un'altra fila di uguali cassoni, anch'essi spalla a spalla, e anche in questi abitano tante persone. Così fra le due file c'è soltanto una sottile fessura, che il Papalagi chiama strada. Questa fessura spesso e larga quanto un fiume e coperta di dure pietre. Bisogna camminare a lungo per trovare un tratto libero; ma qui sfociano altre fessure frammezzo ad altre case. Anche queste sono lunghe come ampi corsi d'acqua dolce e le loro aperture laterali sono anch'esse fessure di pietra del la stessa lunghezza. Così si può camminare per giorni interi in queste fessure fino a perdersi, prima di arrivare a vedere un bosco o un pezzo di cielo azzurro. Fra le fessure solo di rado si vede il vero colore del cielo poiché, dal momento che in ogni capanna si trova un fuoco e spesso anche molti fuochi, l'aria e sempre piena di fumo e di cenere come per l'eruzione di un grande cratere. Quest'aria piove giù nelle fessure, così che gli alti cassoni di pietra sembrano melma delle paludi e gli uomini hanno terra nera negli occhi e nei capelli e sabbia fra i denti.

Ma tutto ciò non impedisce agli uomini di correre in queste fessure da mattina a sera. Sicuro, ce ne sono molti che trovano in ciò uno speciale piacere. In alcune di tali fessure in particolare c'è una gran confusione e la gente vi scorre dentro come un denso limo.... Queste sono le strade in cui si trovano giganteschi cassoni di vetro dove stanno esposte tutte le cose di cui il Papalagi ha bisogno per vivere... panni, ornamenti, copricapi, pelli per le mani e per i piedi, provviste di cibo, carne, e vero nutrimento come frutti e verdure e tante altre cose ancora. Lì esse stanno esposte agli occhi di tutti, per attirare le persone. Nessuno però può prendere qualcosa anche se ne ha grande necessità, per far questo occorre uno speciale permesso e si deve fare omaggio di un sacrificio.

In queste fessure i pericoli vengono da ogni parte, perché la gente non solo corre intorno, viaggia e cavalca a destra e a sinistra, ma si fa anche trasportare in grandi cassoni di vetro che corrono su nastri metallici. Il fragore è grande. Le tue orecchie ne sono stordite, poiché i cavalli battono con i loro zoccoli sulle pietre, gli uomini vi camminano battendo con forza le loro dure pelli da piedi, i bambini strillano, gli uomini urlano di gioia o di spavento, tutti gridano. In tutto quel rumore non riesci neppure a farti capire.

Tutto questo insieme... i cassoni di pietra in cui vivono tante persone, le alte fessure di pietra che corrono su e giù come mille fiumi, gli uomini che vi camminano dentro, le grida, il rumore, la sabbia nera e il fumo sopra ogni cosa, senza un albero, senza cielo azzurro, senza aria pulita e senza nuvole, tutto questo è ciò che il Papalagi chiama una città. Una sua creazione di cui va molto fiero. Sebbene qui vivano tante persone che non hanno mai visto faccia a faccia un albero, mai un bosco, mai cielo aperto, mai il Grande Spirito. Uomini che vivono come gli animali che strisciano nella laguna e dimorano sotto i coralli, per quanto questi almeno abbiano la limpida acqua del mare che li lava e il sole che filtra con il suo fiato caldo. È davvero fiero delle sue pietre il Papalagi? Non lo so. Il Papalagi è un individuo con strani pensieri. Fa molte cose che non hanno alcun senso e che lo rendono malato, e tuttavia ne vanta i pregi e ne canta le lodi.

Parlavo dunque della città. Ci sono però molte città, alcune grandi, altre piccole. Le grandi sono quelle dove vivono i massimi capi di un paese. Tutte le città sono sparse come le nostre isole nel mare. Talvolta si trovano alla distanza di una semplice nuotata, spesso però anche a un intero giorno di viaggio. Tutte le isole di pietra sono collegate fra di loro da sentieri ben segnati. Ci si può arrivare però anche con la nave di terra, che è lunga e sottile come un verme e sputa continuamente fumo e scivola veloce su fili di metallo, più veloce di una barca a dodici remi in piena corsa. Se invece vuoi mandare a un amico che sta su un'altra isola solo un saluto non hai nessun bisogno di andare da lui o di scivolare su quei nastri metallici. Soffi le tue parole in fili di metallo, che vanno come lunghissime liane da un'isola di pietra all'altra. E arrivano, più veloci di quanto possa volare un uccello.

Fra tutte le isole di pietra c'è la cosiddetta campagna, come si chiama in Europa. Qui la terra è bella e fertile come da noi. Ci sono alberi, fiumi e foreste, e qui ci sono anche veri villaggi. Nonostante le capanne siano anche qui di pietra, tuttavia sono circondate da piante con molti frutti, e la pioggia le può bagnare da ogni lato e il vento può poi asciugarle.

In questi villaggi vivono uomini con animo diverso da quelli di città. Si chiamano contadini. Hanno mani più rudi e callose e panni più sporchi degli uomini delle fessure, sebbene abbiano assai più da mangiare di quelli. Ma loro non ci credono e invidiano quelli che chiamano fannulloni, perché non devono toccare la terra e metterci la semente e trarre i frutti. Vivono in ostilità con quelli, perché devono dare loro il nutrimento che viene dalla terra, devono cogliere i frutti che poi l'uomo delle fessure di pietra consuma, devono custodire e allevare il bestiame fino a che è ben grasso e anche di questo devono poi cedere loro la metà. In ogni modo devono faticare molto e procurare il cibo per tutti gli uomini delle città, e non vedono bene la ragione per cui costoro debbano avere panni più belli e mani più bianche e non siano anch'essi a sudare sotto il sole e a gelare sotto la pioggia.

Ma l'uomo che vive nelle fessure di pietra di questo non si preoccupa molto. È convinto di aver maggiori diritti dell'uomo della campagna e che le sue opere abbiano maggior valore che non il deporre o estrarre frutti dalla terra. Questa inimicizia fra le due parti non è però tale che fra loro vi sia guerra. In generale il Papalagi, sia che viva in città fra le fessure, sia che stia in campagna, trova che tutto va bene così com'è. L'uomo della terra ammira il regno degli uomini delle città di pietra quando ci viene, e l'uomo delle fessure di pietra canta grandi arie e gorgoglia quando passa nei villaggi dell'uomo della terra. L'uomo delle fessure lascia che l'uomo della terra ingrassi innaturalmente i maiali e questi lascia che l'uomo delle fessure di pietra costruisca i suoi cassoni di pietra.

Ma noi, che siamo liberi figli del sole e della luce, vogliamo restare fedeli al Grande Spirito e non vogliamo appesantirgli il cuore con le pietre. Solo creature smarrite, malate, che non stringono più la mano di Dio, possono vivere felici fra fessure di pietra senza sole, ne luce, né vento. Concediamo al Papalagi la sua dubbia felicità, ma spezziamo in lui ogni tentativo di costruire anche nelle nostre soleggiate contrade i suoi cassoni e di uccidere la gioia di vivere con pietre, fessure, sporcizia, rumore, fumo e sabbia, come è suo intendimento.


Buona vita a tutti.

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