Non sono mai stato ad una manifestazione dell'ANPI, l'associazione dei partigiani.
Anzi, per dirla tutta, non ho mai preso molto in considerazione queste manifestazioni; mi sono sempre sembrate nostalgiche e importanti: ma lontane da me.
Quanto
è successo in questi giorni a La Cassa a proposito delle frasi sul fascismo
in difesa della rsi nel periodico comunale, e l'accorato invito di Lorenzo Bonino, mi hanno invece convinto a partecipare alla manifestazione dell'ANPI in commemorazione dell'
eccidio avvenuto a Traves il 6 gennaio 1944.
Già sapevo che andavo a farmi del male; già sapevo che qualche corda mi avrebbe toccato in profondo; già sapevo che le non-partecipazioni passate erano rimozioni quasi inconsce; già sapevo molte cose, così come sono perfettamente conscio che, per ogni uomo, la paura di ferirsi è superiore al dovere della conoscenza e, finchè possibile, si svicola. Di fronte agli avvenimenti presenti non è stato più possibile svicolare; così presi armi, amici e bagagli in una fredda, serena e luminosa mattina di gennaio sono partito con una decina di persone alla volta di Traves, assolato e deciso paesino delle valli di Lanzo, angolo un po' nascosto, in fondo a sinistra, nel paradiso.
La prima cosa che m'ha scosso le fondamenta è stato l'incontro con i visi delle valli.
Non bisogna essere partigiani, per capire.
Non bisogna essere stati partigiani, per capire.
Non c'è bisogno di internet, di questo sito, di questo forum, della televisione, dei discorsi, per capire.
Guardate le facce dei vecchi delle valli di Lanzo, per capire.
Non avrete bisogno di ragionare su qual'è la
Parte Giusta, o quella sbagliata, non avrete bisogno di fini ragionamenti, di aver letto mille libri, non dovrete esercitare l'intelligenza o i sofismi dei filosofi: basterà usare il cuore.
Basterà guardare quei visi semplici nella loro profondità, quei visi scolpiti dalla fatica della montagna,
che è sempre in salita, quei visi dolci di sacrifici nascosti per capire che se sono dovuti diventare partigiani
quella era la parte giusta. Era la parte dalla quale sarebbe stata qualsiasi persona giusta nelle stesse condizioni.
Non è un giudizio facile o melenso quello che riporto ora:
ho avuto ben altri toni per le genti di queste valli. Com'è normale, non tutti si assomigliano.
A passi leggeri si sono attraversate le acque limpide della Stura. Davanti la banda, i sindaci, i gonfaloni, poi la gente.
La commemorazione è stata celebrata alla stazione di Traves, dove c'è un cippo che ricorda l'eccidio.
La stazione mi ricorda l'adolescenza, sempre su è giù tra le valli e Torino con la ferrovia; stazioni che sembrano prese pari pari da un plastico ferroviario, eleganti, di un'architettura d'altri tempi e infinitamente recenti, inserite armonicamente nell'ambiente montano, ormai attori protagonisti della scena delle valli insieme alle centrali idroelettriche, ai canali, alle ville
fin de siécle, alle strade che hanno costruito la storia, sempre in movimento, di queste valli.
Nell'attesa dei primi discorsi, mi accorgo di essere al baricentro di un triangolo magico: come in un fantaromanzo esoterico, mi accorgo che lì a est, c'è la frazione dove nacque mio padre; davanti,a nord Pessinetto, dove su un tavolo sono nato io; ad est, più in alto, Gisola, il paese del sole, dove mi sono sposato con Laura ed è nata la mia famiglia; un triangolo che mi parla di radici,
roots, o meglio
reis, in dialetto; e dietro me Torino, la mia Torino, dove mi sono formato e dove lavoro.
Mi pervade un sentimento di consapevolezza; la sensazione esatta che gli eventi non succedono a caso, ma che nel
qui e ora c'è il senso di ciò che ci capita; che i destini delle persone seguono onde, si intersecano, collidono, spruzzano tra loro conoscenze; anche le discussioni sul fascismo hanno un senso se mi hanno portato a Traves,
qui e ora.
Cominciano i discorsi ufficiali. Mi è rimasto molto nel percorrere con lo sguardo le persone: attente, coinvolte, a volte distratte nel sussurrare qualche parola al vicino, sottovoce, come se si fosse in chiesa... perchè c'è rispetto, c'è un sentimento
religioso, nel senso primo del termine, di ciò
che ci lega gli uni agli altri, delle tensioni che abbiamo in comune anche se siamo diversi, di ciò che ha obbligato questa gente ad essere partigiana.
Diversamente da quanto mi aspettavo, nei discorsi non c'è nulla di nostalgico. Anzi, mi stupiscono per l'attualità, la declinazione al presente, l'apertura al futuro; verso il diverso, il rom, l'immigrato, i nuovi condannati dalla nostra società, i nuovi internati nei lager; i capri espiatori del senso di colpa che l'opulenza ci dà.
Poco importa che noi siamo tra i popoli più ricchi al mondo: vadano a morire un po' più in là questi poveracci che qui ci danno fastidio, disturbano, e puzzano un poco, e che ci abbiamo anche la crisi, noi, neh.
Vorrei sentire molti politici parlare come ha fatto qualche sindaco, qualche dirigente dell'ANPI; vorrei sentirli parlare chiaramente delle limitazioni che oggi vengono fatte alle libertà conquistate dai partigiani, dello strapotere delle caste politiche e imprenditoriali dominanti; vorrei sentirli difendere l'orgoglio di chi ha dato la vita per farci vivere in uno stato libero; vorrei sentir citare dai politici, e fare propria, la citata frase di Calamandrei: "io non ho fatto il partigiano, ma i partigiani hanno fatto me".
A diversità di queste, non mi rimarrà moltissimo delle parole pronunciate da qualcuno, mi scivolano via i discorsi di circostanza della Regione, i piagnistei della Comunità Montana.
Con questi caldi pensieri sui freddi limpidi ghiacci di gennaio, triangolato in questo baricentro di forze che esalta le mie radici, scopro il motivo per cui non ho mai partecipato a queste manifestazioni; e anche perchè ci sono
qui e adesso.
Non ho mai partecipato perchè per me l'antifascismo è connaturato con l'essenza stessa dell'essere umano, non deve essere mostrato perchè è
normale, è una dimensione dell'essere che rifugge dal
male assoluto come l'ha definito Fini; non ho mai partecipato perchè mi sembrava inutile ribadire il banale, l'ovvio, il naturale.
E mi sbagliavo.
Le
discussioni su questo sito, la pubblicazione della lettera in appoggio della rsi sul periodico comunale, molti aspetti della politica locale e nazionale dovevano mettermi in allarme: non è così, l'antifascismo non è per tutti naturale come lo è per me; è giusto, è necessario, che l'ANPI continui ad
insegnare che il male c'è stato, c'è, può diffondersi, si deve vigilare. Se nel nostro ordinamento è previsto un allontanamento forzato di tutto ciò che è riconducibile al fascismo il motivo c'è, ed è saldo, importante, attuale.
Mi piacererebbe affrontare, come proposto, il paragone con altri stati; ad esempio con la Germania che ha completamente abiurato il nazismo, se l'è tolto dai piedi definitivamente, e si è ricostruita.
Mi piacerebbe, similmente a Diego, affrontare il tema del perdono: farei parte di un gruppo di artificeri per andare a sminare il passato; ma, concordo, è impresa ardua.
Mi piacerebbe fare tante cose per essere utile alla comunità; ma sono limitato, come tutti, e poche cose posso fare oltre che pigiare tasti.
Come insegnano i vecchi delle valli di Lanzo, l'importante è fare bene le proprie cose, ogni giorno, piano, facendo le cose giuste, perchè il bene è un virus che si diffonde lentamente ma è altamente contagioso.
Accettare la lezione della Montagna: che è fatica, silenzio, costruzione, conoscenza, prudenza.
Fare come i vecchi che sono pazienti;
e che, quando è ora, non ne possono più e diventano partigiani.