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8 settembre
1943, tutti sappiamo cos'è successo. Lo sbandamento di una Nazione. In Primavera di bellezza Beppe Fenoglio ne rappresenta magistralmente l'intensità. Un milione – forse – di soldati che vagano come ubriachi alla ricerca di qualcuno a cui obbedire. Un proclama, quello di Badoglio, che molti scambiano per la fine della Guerra, e invece è un atto tragicamente di inizio di una nuova pagina, probabilmente inevitabile, ma che va nel solco dei tradizionali fallimenti del bel paese e induce Johnny a diventare partigiano e a scrivere col suo sangue l'unica storia degna, capace di riscattare – un po' – la vergogna degli alti comandi e lo sgradevole spettacolo di un re che scappa con tutti i suoi ministri.
Nemici che improvvisamente diventano amici, alleati del giorno prima che dopo quella data ci affondano le navi, ci internano nei campi di concentramento, ci odiano. Noi, straccioni, senza armi, senza un progetto bellico, senza ordini e senza ordine. Non sappiamo più a chi affidarci, non sappiamo di chi fidarci.
Vedo analogie con l'oggi.
Un 8 settembre prolungato del quale tutti siamo leggermente inconsapevoli. È iniziato, mi pare, quando ancora erano vivi coloro che hanno saputo interrompere il primo scrivendo la nostra Costituzione. È iniziato senza che alcuno se ne accorgesse e con solo una delle componenti del 1943: lo sbandamento della società. La fuga dei responsabili, dei pavidi e degli incapaci, è solo di questi giorni, anzi, è di circa 100 giorni or sono.
Questa volta non ci siamo arresi ad Eisenhower, ma ad un nemico che può diventarci amico domani: lo spread. Se è alto è cattivo, se è basso è buono, come il colesterolo, che c'è quello buono e quello cattivo. Siamo disorientati. La fuga dei cialtroni ha destato la consapevolezza di essere dipendenti dallo spread. Anche oggi gli amici di ieri si trasformano in nemici. Lo Stato inclina sempre più a vocazioni vessatorie piuttosto che di tutela; il lavoro non è più un mezzo per garantirsi dignità, autonomia, crescita personale, bensì la galera per ce l'ha (...e deve ringraziare), o una chimera per chi lo cerca; la cultura, in questo panorama di sbandamento etico, è un orpello appariscente assolutamente non necessario, sovente noioso, decisamente non incoraggiato.
Lo spread, un'idea di economia vecchia ed invadente, la certezza miope che impoverendo la gente si risparmi denaro, sono concetti che, come già fecero i tedeschi con le nostre milizie straccione e orfane, stanno deportando chissà dove il nostro diritto alla vecchiaia. Noi non siamo in grado di "riscrivere" le regole, noi siamo capaci solo di subirle. La nostra Costituzione non è un lavoro da compiere, come voleva Calamandrei, è uno strumento di governo e spesso di soprusi nelle mani di chi ha preso il posto di quelli che sono scappati.
Noi non siamo capaci di scappare in montagna e imparare ad usare il fucile, noi portiamo occhiali, siamo educati, crediamo nel dialogo e abbiamo sempre avuto fiducia nelle istituzioni. Ma oggi come possiamo continuare così, oggi che la gente muore se si oppone ad un'opera inutile, che i padroni sono tornati con le bele braghe bianche, oggi che vediamo la polizia – dico la polizia – caricare con i manganelli i bibliotecari (!!!), oggi che abbiamo al governo i nuovi feudatari dell'economia del crollo globale, come possiamo restare inattivi e continuare ad essere educati?
Oggi che questo sempiterno 8 settembre ci sta regalando un futuro di assenza di concetti, in cui tutto si mischia in una melassa informe, forse – ma è detto da un profano – solo le nuove tecnologie possono salvarci. E chi ne è il sacerdote? Chi può diventare il novello Johnny che, senza sangue, potrebbe dar vita ad un altro Calamandrei?
I giovani, i giovani, i giovani.
Quelli della mia generazione non possono, con un po' di vergogna mista a vigliaccheria, che sperarlo.