Monte Bernard:
quante volte si dice: una volta o l'altra ci voglio andare. Ma spesso è un dire poco convinto, tanto per rinnovare un continuo rimandare.
Ma oggi la giornata è un incanto, non c'è ragione che tenga, questo tarlo che da tempo mi frulla nella testa non lo posso più far tacere, oggi ho deciso che devo per forza andare in cima a Monte Bernard.
Non parto presto, il sole è già alto e i raggi scaldano a sufficienza da restare con la maglia leggera.
Mentre mi incammino su per via delle Fonti saluto volti conosciuti. “Dai che gli altri sono già passati da un po'”, mi dicono. Gli altri chi ? Sarà mica la compagnia di almeno venti persone che ho visto in piazza poco prima di partire ? Eh, no, questa non ci voleva.
Continuo la salita con un certo fastidio, oggi la montagna deve essere solo mia, uno strano moto di gelosia mi prende mentre calpesto rigagnoli di acqua che attraversano il sentiero.
Il bosco ancora non da segni della primavera imminente, mi consolo con il verde degli abeti, un po' malconci di processionaria.
Cammino e il fiato comincia a farsi corto, il sentiero sale ripido e l'orizzonte si allarga alle spalle.
Mi chiedo quale sia la loro meta, l'ho detto, la loro presenza un po' mi disturba e al bivio dell'Aris cerco di cogliere delle tracce, dei segni del loro passaggio, quasi con una perversa idea di modificare il mio obiettivo pur di non incontrare gente. Ma nulla è evidente ai miei occhi e poi non c'è scusa che tenga, io oggi devo andare in cima a Monte Bernard.
Continuo la salita a passo costante, mi piace sentire il cuore che accelera, mi piace l'idea di sudare e eliminare tossine, e insieme a loro anche la rabbia che mi sta rinchiusa dentro. Mantengo una velocità che non permetta al sangue di pulsarmi in testa, mi piace lasciare il cervello libero di pensare.
Dopo il secondo tornate la vedo, una figura che sale, attardata, e più avanti il resto del gruppo, un po' sfilacciato. Si stanno fermando alla tettoia il cima al Costabella.
Saluto e continuo per mia strada, il peggio lo so che deve ancora venire.
Mi lascio il gruppo alle spalle, sperando che abbia raggiunto la sua meta e mi inerpico per questo sentiero che non fa sconti al dislivello, tira su dritto per la via più breve.
Trovo macchie di neve, in effetti i giorni scorsi ha nevicato parecchio, non avevo preso in considerazione questa eventualità. La neve si fa più fitta e nei tratti di sentiero meno esposto al sole cammino nel manto candido.
Illuminato dal sole è un incanto.
Seguo delle tracce, un uomo e un cane, ben visibili nella neve.
Al termine di un piccolo pianoro le tracce dell'uomo si fermano, resta solo il cane a guidarmi.
La presenza della neve si fa sempre più invadente, a tratti affondo fino al ginocchio e comincio a vedere altre tracce, non più il cane ma orme simili ma più piccole, sarà la volpe, penso, e poi altre orme, questo mi sembra un cervo.
Sarà il caso di continuare ? Alzo lo sguardo e la vedo la cima, vicina, oltre il traliccio. No, ho la testa dura e non mi voglio proprio fermare.
Ogni passo costa il triplo della fatica, meno male che il sentiero è ben indicato, macchie rosse sulle rocce e sugli alberi mi danno sicurezza, adesso non riesco a fare neanche un metro senza questi riferimenti.
A tratti procedo a quattro zampe, un po' capra e un po' stambecco, e le sento le loro voci, salire dal basso, che mi seguono da lontano.
Passo anche il traliccio e sono quasi alla cima. Ma qui, lo so, viene la parte peggiore, l'unica che ricordo alla perfezione, e saranno passati trent'anni, “ma Leonildo, sei proprio sicuro che passi di qui il sentiero ?”.
La pietraia da scalare è difficile, coperta di neve mi sembra una cosa disperata, ogni piede che appoggia trova 5 o 50 cm di profondità, così, casualmente.
Provo a seguire le orme del cervo, penso almeno indichino un appoggio sicuro. Ma capisco in fretta che ai suoi balzi non posso stare dietro e presto cerco appoggi alternativi.
Qualche passaggio è da scalata da roccia, occorre usare le braccia per tirarsi su.
Meno male che non dura a lungo e poi, ancora pochi passi e improvvisamente appare tutta la vallata di Varisella.
La croce in cima a Monte Bernard è una cima di quelle che da soddisfazione arrivarci. Non è come quelle mete che, arrivi alla cima si, ma dietro c'è sempre una cima più alta, che ti rimane un po' di amarezza comunque.
Qui è uno spartiacque: di qua La Cassa, di là Varisella, da entrambi i lati il fronte è ripido. Si può proseguire di lato, procedendo quasi in piano, fino a raggiungere la cima sopra Givoletto e magari andare oltre, fino a Madonna della neve.
Mentre mi siedo a guardare il panorama mettendo mano ai viveri li vedo arrivare, sicuramente più esperti e attrezzati di me.
Si fanno quattro parole, mentre si mangia, poi raccolgo la mia roba e riparto, l'ho detto, oggi non sono molto di compagnia, e poi se mi sfracello nel ritorno almeno mi raccolgono.
Comincio a scendere rapida e faccio la strada del ritorno tutta di un fiato.
Quando sono ormai vicina alle prime case capisco la bellezza e grandiosità di tutto questo silenzio, che mi ha permesso di ascoltare il rumore dei miei pensieri e la musica che ho in testa da quando sono partita, con l'assolo finale che ogni volta che lo sento non riesco a fare a meno di piangere.
Antonello Venditti. Lo stambecco ferito.