25 aprile 2011

Lettera a uomini liberi

"Non si è mai più liberi di, o meno liberi di. "
danda
Scuola Secondaria di Primo Grado “DON MILANI”
BARBIERI ALESSANDRA
Classe III B

LETTERA A UOMINI LIBERI


Mi chiedevo se la memoria avesse potuto andare avanti attraverso dei fogli di carta. Se emozioni, sensazioni, paure, ansie, dolori si sarebbero riusciti a trasmettere con delle semplici parole. Se, anche dopo diversi anni, rileggendo quegli appunti, si sarebbe potuto rievocare un sentimento troppo grande per essere contenuto nel cuore di chi lo prova, un sentimento gettato in fretta su un quaderno, su un taccuino giunto fino a noi ..
Fu con questo pensiero che lessi la lettera che mia nonna mi aveva lasciato, in una domenica di maggio, su un cuscino. Ero ancora piccola, la mia vita stava fiorendo, mentre la sua età la faceva appassire di giorno in giorno, lasciandole un velo opaco sugli occhi, e tingendole i capelli d'argento. Ero troppo piccola per comprendere parole cariche di un enorme significato, di un antico ricordo, di un vecchio dolore.
Ho sempre avuto pochi ricordi di lei. So che mi difendeva sempre, difendeva ogni mia monelleria... e che inneggiava alla libertà.
Questo mi è sempre rimasto impresso. Amava gioire delle piccole cose, e ripeteva che ero fortunata, che potevo fare quello che volevo, e che ero libera, da ogni imposizione. È una cosa che ho sempre negato, rispondendole che mamma e papà non mi facevano giocare con le mie amiche in cortile tutti i pomeriggi, e non potevo guardare la televisione alla mattina come i miei compagni. Lei rideva, e mi dava ragione.
La libertà. Mi chiesi spesso qual era il suo vero significato. Lo estesi sovente in maniera troppo generale. La libertà di un popolo, quando non doveva sottostare ad un regime dittatoriale. La democrazia. Mi sembrava quasi un sinonimo. All' inizio lo associavo solamente alla politica.
Una frase però suscitò in me altri pensieri. È con questa che iniziava la lettera mia nonna:

“La libertà di una persona termina quando inizia la libertà della persona che vi è a fianco”.

L'avevo già sentita altre volte, ma mai ci avevo fatto caso. Quel pomeriggio, invece, davanti a quei fogli, compresi che avrei scoperto qualcosa di nuovo, di importante, di vitale. Un sentimento ... libero ... di essere trasmesso di generazione in generazione.
La scrittura di mia nonna era sottile e tremante, la grafia di chi ha quasi paura ad esprimersi, di chi si porta addosso troppi ricordi, e non tutti felici.

“Alessandra” ... Un brivido mi attraversa la schiena. “Questa volta non mi dilungherò molto, come sono solita fare nei miei racconti. Siamo alla fine di aprile, e già sento che la mia vita sta giungendo al termine. Purtroppo non riuscirò, come sempre in questi anni, a portarti  al cimitero a trovare i tuoi bisnonni, il 25 aprile, perché le mie gambe non reggono più il peso della vecchiaia. Ma quest' anno voglio comunque lasciarti una storia. Non saremo sedute davanti alla lapide eretta in ricordo dei Caduti in guerra, ma io resterò sdraiata su una comoda poltrona e tu in cortile, a giocare con il pallone. Quanta gioia nei tuoi sorrisi, quanta felicità e voglia di vivere. Ancora una volta voglio ripeterti che sei libera, e ancora una volta mi osserverai con gli occhi curiosi e inquieti di chi non capisce, o non approva, ma non lo vuole dare a vedere. Questa è la volta buona perché io ti spieghi le mie parole. Fra pochi giorni ricorrerà la festa della liberazione. LIBERAZIONE ... Liberi ... Finalmente la pace che ritorna a farci sentire tutti uguali. Ma per farti comprendere perché da quel giorno fu tutto migliore, è meglio che io ti descriva attraverso quale orrore eravamo passati.
Il mio non è un racconto che puoi trovare sui libri di storia, lì ci stanno i grandi uomini, e le grandi date. Quella che conta davvero è la vita della gente comune, ed è fondamentale ricordarla e portarla bene nel cuore se si vuole evitare di ripetere gli stessi errori. Una data e il nome di un condottiero non fermano un'altra guerra, ma sentimenti, paure di donne, uomini,e bambini... Il pianto di un bimbo la può fermare. L'odore di un corpo bruciato è quello che la guerra ti stampa addosso, lo senti per tutta la vita nei vestiti.. Nelle orecchie il crepitio delle armi ... Il dolore inciso nell'anima.
Allora avevo otto anni, ed ero esattamente come te, allegra e vivace; mi arrampicavo sugli alberi, mi sbucciavo le ginocchia e mi rotolavo nell'erba con i miei fratelli. Vivevamo in un quartiere alla periferia della città, un posto tranquillo. Mia madre stava in casa a badare a noi bambini, mio padre lavorava come commesso in un piccolo negozio di alimentari. La nostra era una vita regolare, avevamo il giusto da mangiare, pochi giochi, tanta voglia di vivere. Ma le privazioni dovute alla guerra si fecero sentire in fretta. Alla radio dicevano che stavano arruolando uomini, Mussolini arringava il popolo ogni giorno con discorsi sontuosi, più che patriottici, grondanti  un fervente nazionalismo. Naturalmente non avevo chiaramente idea di quello che stava per succedere, ma avvertivo la crescente tensione, vedevo gli sguardi preoccupati per le strade, gli occhi tristi di molte madri, o di giovani spose... Sentivo i discorsi dei miei genitori alla sera, al di là della porta .. Ma appena mi vedevano comparire sull'uscio, cessavano subito di parlare e mi rimandavano a dormire, bruschi.
La notizia che l'Italia era entrata in guerra arrivò insieme alla minestra che la mamma aveva cucinato per cena, attraverso una comunicazione radio. I miei non spensero l'apparecchio, come erano soliti fare in presenza mia e dei miei fratelli , ma ascoltarono seri e attenti. Da quel giorno la mia vita, e la mia libertà, cambiarono radicalmente. Fu poco per volta. Ma il massimo dell'orrore giunse dopo la firma dell'armistizio. Sai, gli uomini del quartiere... Ce n'erano sempre meno. Mio padre continuava a lavorare, ma già mio zio era “sparito”. Probabilmente i soldati tedeschi, che rastrellavano la città insieme ai repubblichini, l'avevano preso. Molte donne famiglie non sapevano dov'erano i loro cari, se erano vivi, per quanto sarebbero stati via. Infine successe anche a mio padre. Un giorno, mentre andava a lavoro, lo fermarono due tedeschi, gli chiesero nome e cognome e lo portarono via. Non riuscì ad avvertire mia madre né a prendere alcun vestito con sé. Questa forse fu la prima libertà di cui fummo privati. La libertà di decidere il proprio futuro”.

Posai un attimo la lettera e trassi un profondo respiro. Riflettei su ciò che avevo appena letto. Da quelle parole traspirava un concetto diverso di libertà. Quella di decidere la propria vita senza sottostare alla ideologia e alla volontà di altri uomini. Il diritto di ogni essere umano di organizzare le proprie scelte, di avvisare la propria famiglia, anche solo di portare con sé qualche abito. Pensai:se fosse successo a me? Rabbrividii. Proseguii la lettura.

“Inizialmente avevo trovato molto buffe certe nuove leggi, che prevedevano un abbigliamento privo di indumenti neri. Non che per me fosse un problema, non ero solita portare abiti di quel colore. Ma mise seriamente in crisi mio nonno, che, ancora in lutto per la scomparsa della moglie, sembrava possedere un intero guardaroba di camicie solo di quel colore così macabro. Trovai la situazione strana fino a quando, un pomeriggio, ci chiamarono alcuni vicini di casa: lungo il muro di una casa avevano trovato mio nonno, il mio nonnino. Era stato picchiato a sangue da un gruppo di Camicie nere perché indossava una camicia nera senza averne il diritto.”  Rimasi scioccata .
“Eravamo stati, così, privati di un' altra libertà . Semplice, forse banale, ma pur sempre importante:la libertà di vestirci come volevamo”.
Il concetto cominciava a diventarmi chiaro. Volli però andare avanti prima di trarre delle conclusioni.

“A scuola cominciarono a parlarci di Igiene. Dissero che dovevamo vestirci adeguatamente, con vestiti o gonne portate almeno sotto il ginocchio, lavarci tutte le mattine, tagliarci le unghie e legare i capelli. Lo trovai molto strano, anche perché prima d'allora non ci avevano fatto mai un solo appunto.. C'era l'Annina, che lavorava col padre in un' officina ed era sempre sporca di grasso e olio; Chiara, che proveniva da una zona dove l'acqua c'era a malapena per far girare la polenta; ed io, che indossavo solamente i vestiti dei miei fratelli, visto che in famiglia i soldi, da quando mio padre era stato portato via, scarseggiavano ed erano volati via assieme ai vestitini più graziosi che avevo. Una mattina mia madre si alzò presto per far visita ad una cugina, e tornò con un abitino forse troppo stretto, ma che portai per qualche settimana, sempre quello, fino a che non imposero la divisa scolastica obbligatoria, e anche a quella fu difficile provvedere. Subii inoltre una poderosa spazzolata ai capelli, e ricordo ancora oggi i pianti e le urla che feci quando mia madre me li legò in una stretta treccia. Testarda com'ero, appena girato l'angolo di casa mia la sciolsi di nuovo, ma arrivata in classe ricevetti una sgridata ed una bacchettata sulle dita, più un'altra per non essermi tagliata le unghie.
Da quel giorno non fui più la bimba spensierata di prima. Guardavo con occhi diversi i soldati che giravano per la città, le parate militari, non distinguevo più l' individuo tra quegli uomini tutti uguali, tutti ugualmente fanatici, che camminavano rigidi, meccanici, in sincronia ... Erano l'incubo delle mie notti, i loro nasi perfetti, gli occhi malvagi azzurro ghiaccio, i capelli biondi, le facce di ferro. Odiavo i tedeschi quanto i repubblichini.
Quante liberta ci erano state tolte!! Non potevamo professare la religione che ritenevamo più opportuna, non potevamo seguire lo stile di vita che più ci piaceva, dovevamo aver paura di appartenere tutti ad una stessa specie che non fosse quella che Mussolini, o Hitler in Germania, esaltavano come la “razza perfetta“. Razze? Ma che cosa eravamo, uomini o animali?”

Mi venne in mente il titolo di un famoso libro, “Se questo è un uomo”. Già. Si poteva ancora definire “essere umano” una creatura a cui hanno vietato l'essere? L'identificarsi in qualcuno, o in qualcosa, era vietato. O meglio, potevi farlo, ma a tuo rischio e pericolo.

“Non tutti sapevano dov'erano portate quelle vite. L'informazione era scarsa, la radio trasmetteva solamente lunghi discorsi del Duce, e i nuovi territori che “i nostri bravi soldati” avevano conquistato. Nulla di tutto ciò era vero. L'informazione, più che scarsa, diventò pilotata, falsa. “Radio Londra” era l'unica dalla quale sembravano arrivare notizie veritiere. Ne fui completamente certa quando una nuova legge ne vietò tassativamente l'ascolto.
Ci chiudevamo in cucina, alla sera, tiravamo le tende e ci raccoglievamo attorno alla radio, il volume impercettibile, per sentire le notizie che giungevano dal fronte. Dovevamo barricarci in casa, dopo il coprifuoco, e non una luce poteva scaturire dalle finestre. Imperava il terrore del farsi scoprire, colti in fallo dalle numerose spie che giravano, orecchie tese e occhi attenti, pronti a captare parole di una radio sbagliata, e riferire tutto al capo quartiere.
Ci avevano tolto così il diritto di sapere. Eravamo tante formiche, fra le quali prendevano le rosse, e lasciavano le nere. Noi nere eravamo tenute sotto una scatola, oltre la quale non potevamo avventurarci, mentre fuori le rosse venivano torturate e schiacciate senza pietà. Se una di noi tentava di saperne di più di quanto il Regime volesse,, aveva l'occasione di scoprirlo in prima persona. E non era mai piacevole”.

La lettera era quasi giunta alla conclusione. Era riuscita ad aprirmi gli occhi .... su un mondo nuovo. Un mondo che mi avevano sempre raccontato così, in astratto, che avevo letto nei libri, ma che mai avevo sentito così profondo, così VIVO, mi sembrava di sentire a pelle tutte le emozioni che mia nonna mi stava trasmettendo.

“Cantavo con l'odio nel cuore gli inni del PNF, tremavo di rabbia di fronte agli uomini bastonati sulla strada perché riuniti in un gruppo di tre persone. Mi sentivo schiavizzata, anche se non dovevo fare da serva a nessuno. Mi sentivo imprigionata, anche se attorno a me non c'erano sbarre. Ero ferita, anche se nessuno mi aveva sfiorata. Ero umiliata, e nessuno mi stava offendendo direttamente. Passavo dall'indifferenza alla paura, dalla paura all'odio, dall'odio alla sottomissione. Sembravano tenerci uniti solo quelle emozioni.
Fu così per anni. Anni di preghiere, di ricordi, di speranze. Poi, nel 1945, la situazione cambiò. Gli americani sbarcarono in Normandia, i Partigiani riuscirono a vincere, scendendo dalle montagne e ribaltando il potere. Poco tempo dopo mio padre tornò a casa, magro e denutrito, raccontandoci di forni crematori, di quartieri ghetto e di esperimenti terribili.
Da quel giorno mi  sentii morta dentro, nel cuore. Non sentivo nemmeno più di appartenere alla specie umana, se umani erano coloro che avevano ideato questo incubo.
Rinacqui quando diedi alla luce tua madre. Cercai di farla crescere inneggiando alla libertà che a me era stata vietata, e lo stesso feci quando nascesti tu. Concedetti sempre l'indipendenza nelle piccole cose, e nei limiti della legalità.
Non si è mai più liberi di, o meno liberi di. La libertà o c'è o non c'è. Dal momento in cui lui “è più libero di me”, io non lo sono più.
Crebbi molto più fortunata di molti ragazzini ebrei, chiusi nei lager e dietro a delle sbarre.
Ma la vera prigione non era quella, ma il posto dove avevano gettato il nostro cuore.
Ma tu, Alessandra, ricordati sempre che anche se butteranno via la chiave, quella chiave cadrà sempre da qualche parte, e resterà sempre la speranza di ritrovarla, un giorno. Solo se ne sei convinta puoi cominciare la ricerca. E tu credici sempre, perché è così che sono andata avanti io, ed è così che sono arrivata alla fine dei miei giorni, è così che con la pace nel cuore saluto questo mondo.  E' con il mio ultimo sorriso che ti lascio questa lettera, e sono sicura che avrai capito le parole che ti ho ripetuto tante volte. Non so ora cosa mi accadrà, se dopo questa vita ce n'è un'altra, o se mi aspetta il nulla. Ma ci sarò sempre .. Perché la mia anima volerà libera ...”

La storia della mia nonna terminava così.  Se n'era andata senza altre spiegazioni. Ed è per questo che non aggiungerò altro, e lascerò che il mio racconto viaggi nel cuore e nella memoria di chi l'ha letto come me .. Per sempre .. E attraverso fogli di carta che viaggerà e volerà questa profonda, e finalmente LIBERA, lettera ...
 

 

Laura LaLunga23 aprile 2011, 15:11
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 Vi sono persone che hanno un dono, Danda è una di queste. Grazie per averci fatto dono di questo tuo scritto, grazie per averci ricordato, tu, giovane donna del 21° secolo, che cosa ha significato vivere sotto un regime.

E poi un augurio, nell'appossimarsi del giorno in cui festeggeremo la Libertà:

che il sentimento di libertà che ci hai descritto rimanga sempre presente nelle nostre anime, anche adesso, che stiamo vivendo il regime del 21° secolo. 

Che non ci spaccino più, come stanno cercando di fare, le leggi razziali per  leggi sull'immigrazione, la democrazia per capitalismo esasperato, il cinico individualismo per realizzazione di sè stessi.

Che non accada mai più che ci convincano della necessità di democratizzare altri popoli, con le buone o con le cattive. Il nostro popolo è stato democratizzato nel modo in cui hanno voluto loro e non mi pare un'operazione molto ben riuscita.

Che non ci manchi mai la volontà di lottare per le nostre libertà: la libertà di pensare fuori dal coro, innanzi tutto. Che lottare per noi significhi sempre dialogare, proporre e scontrarsi civilmente con chi la pensa diversamente da noi.

Se chi la pensa diversamente da noi continuerà ancora a pensarla così anche dopo il dialogo e se queste persone ancora pretenderanno di governarci, che sia il voto e non la lotta armata a farle fuori (anche se la tentazione è tanta).

Che la nostra scuola, i nostri insegnanti, trovino ancora e sempre la forza di indignarsi e di lottare contro questo Governo ignorante e lascivo.

Che i nostri operai, nelle fabbriche, ritrovino un sindacato libero da condizionamenti di potere e se non lo trovano abbiano la forza di rifondarne uno.

Che le nostre idee trovini finalmente realizzazione in un partito politico credibile e che la politica la smetta di essere questo teatro di corruzione e del cattivo gusto che è adesso.

Auguro a chi ha ancora la televisione di non incappare mai più nella faccia satanica di La Russa mentre parla delle sue strategie di guerra con la bava alla bocca e di trovare la Minetti in topless a fare la velina invece che seduta tra i consiglieri regionali della Lombardia.

E se tutto ciò non sarà possibile, stringiamoci a coorte, e che una bella canzone dei Genesis ascoltata insieme a dei buoni amici, ci accompagni in questi tempi bui.

E che Qualcuno ce la mandi buona.

pace
LLL



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