gennaio, la porta degli dei

italo losero

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A camminare per i prati e i boschi guardandosi intorno in un mese così freddo, sembra non ci siano molto da guardare; sembra anzi il mese della negazione stessa della voce delle cose che restano nere, mute. Invece, per chi vuole ascoltarlo, gennaio parla e ha molto da dire. Bisogna rimanere un po' in silenzio e ricordare quel che il tempo conosce affondando le mani nelle tasche per trovare il calore di pensieri remoti, mentre i piedi rompono il ghiaccio, fendono la neve, avanzano sulla terra gelata.

Gennaio parte in mezzo alle dodici notti: quelle che separano il natale dall'epifania. Dodici notti di con-fusioni, un periodo in cui non si sa bene se è festa o se si lavora, se è un anno o se è l'altro, se è il cattolico Natale o l'incognita, e strana, Befana (non è una strega! Ha la scopa al contrario, bisogna dirlo ai bambini), o qualche santo: Stefano, Silvestro... un papa  che fu il primo pontefice dopo l'Editto di Milano con cui l'impero romano accettava la religione cristiana: un inizio, un capo... d'epoca, più che un capodanno, la cristianizzazione dell'inizio d'anno; chissà quanti se ne ricordano facendo il trenino nel veglione di San Silvestro.
Poi: questa strana storia dei Magi, o Maghi, con i tre doni così lontani dal nostro immaginare: la purezza divina, il medium tra il dio e l'uomo, la capacità medica e taumaturgica. Oro, incenso e mirra, anche se naturalmente non tutti sono d'accordo su questo; mentre sono d'accordo che fossero dei grandi sapienti venuti ad adorare il dio. Sapienti di cosa? Soprattutto astrologia.
Mi diverte pensare che succederebbe se oggi un astrologo venisse giudicato come 'gran sapiente' dai giornali e telegiornali... tutti ci metteremmo a ridere, e se ci dicesse per di più che ha seguito una stella per trovare un bambino futuro re di tutti noi capotteremmo dalle risate; se ci chiedesse poi di votare il re ci potrebbe prendere un infarto da sfinimento da risata multipla parallela.
In fondo, passano i secoli ma siamo sempre gli stessi burloni.

A proposito della befana: il rito è antichissimo, pre-cristiano, diffuso in moltissime culture e sembra derivare dal culto della Grande Madre, addirittura dalle società matriarcali (8000 ac); il tentativo di cristianizzazione della festa ha cercato di purificarla dagli elementi gnostici dei primi secoli (lo gnosticismo non era 'simpatico' alla chiesa ufficiale) che vedevano il momento del battesimo di Gesù nel Giordano come vera manifestazione epifanica; per farla poi diventare la manifestazione (epifania -> pifania - > bifania -> befana) del dio agli uomini, il ricordo del primo miracolo di Cana e, il giorno della nascita di Gesù come dio. Una quadruplice ricorrenza per cercare di 'sopire' un culto precedente.

Insomma: dodici notti di con-fusione in cui si mescola di tutto: in questo periodo tra i romani i Saturnali erano periodi di follia orgiastica, anche gli schiavi venivano lasciati liberi per una notte e i padroni fingevano di essere schiavi.
Notti delle quali ci resta una certezza: questo è il bordo dell'anno, è il periodo che separa un anno dall'altro, antropologicamente cioè per l'uomo al di là del calendario. La mezzanotte del 31 è un'invenzione; le dodici notti sono l'alito della storia che ci indica il bordo dell'anno; non un bordo netto perchè l'uomo non è tagliato con l'accetta; qualcosa di più sfumato, un lasciarsi andare verso una vita nuova, con-fondersi nel cambiamento d'anno.

Per indicare questo concetto di rinascita ciclica la simbologia esoterica utilizza l'uroboro: il serpente che si mangia la coda e rinasce da sè stesso. Alchemicamente: l'innalzamento della temperatura, l'evaporazione e la condensazione in un ciclo infinito. Tutti concetti che la nostra storia ha chiari mentre la nostra hybris tecnologica pretende di saperne molto di più.
Anche i riti del periodo fanno perno sul passaggio: in alcuni paesi ancora la Befana viene bruciata (la vecia, in veneto) perchè questa vecchia, di origine pre-cristiana, raffigura Madre Natura che è invecchiata  dopo aver compiuto un ciclo, deve bruciare per rinascere; ancora le strenne hanno origine antica, simboleggiavano i rami d'alloro che sopportavano l'inverno con le foglie in attesa della nascita del nuovo sole di primavera; e soprattutto il nome del dio del mese è quello che più mi lascia stupefatto; januarius, il mese di Janus, Giano il dio bifronte.
Un dio di antichissima e nobile origine; con due visi, uno che guarda avanti e uno indietro; un viso giovane, l'altro vecchio, è quello che meglio simboleggia il serpente che si mangia la coda e in più inserisce il concetto di porta, di passaggio; ianua, in latino, iana che in sanscrito vuon dire 'via'; un dio che ci aiuta a penetrare il segreto di questo mese freddo, difficile, da conquistare, "una stagione severa e misteriosa che si svela solo a chi sa coglierla, al di là delle apparenze, nella sua complessità" (Cattabiani).
Il seme è sottoterra, nascosto e invisibile agli occhi; la vita continua nel profondo. Guardando le distese brinate sembra impossibile; eppure Giano, il dio di tutti gli inizi, ci dice che è proprio in questo momento che si deve avere fede nella vita: è qui che si deve manifestare tutta la potenza della forza  che ci mantiene svegli anche nel leggere queste righe.

E allora passeggiando tra i campi gelati la mente curiosa vuole scendere in profondità,  scaldarsi al pensiero della potenza misteriosa del seme sotterrato cercando gli appigli per far risorgere la memoria delle vite passate su questo pianeta.
Tempo ne è passato molto da che l'uomo ha questi pensieri; i popoli cambiano, le stelle stanno a guardare.
L'astrologia ci viene in aiuto: guardate il capricorno, il segno di questo periodo, cosa porta con sè.
Segno di terra, ci mancherebbe: è necessaria concretezza per affrontare il periodo.
Domicilio primario di Saturno: cioè il pianeta qui ci sta molto bene. Saturno è il pianeta dell'intelligenza che va diritta all'obbiettivo, ha poche frivolezze e a punta direttamente al sodo; qualcuno l'ha chiamato pianeta della sfortuna, qualcuno lo vede come antipatico; non ci si deve sbagliare, è il periodo che richiede una virtù quasi militare per superare indenni il gelo e Saturno è esattamente ciò che ci vuole.
Anche Urano qui è ben rappresentato: la materialità, il saperci fare con le mani, l'operosità è una virtù indispensabile per cavarsela.
Come ci si aspetta, qui Marte è al massimo, in esaltazione: l'aggressività, la forza vitale devono essere in potenza elevata; è in gioco la vita; il contraltare sta nelle posizioni meno felici della Luna e di Venere, femminilità e bellezza appaiono in secondo piano, più nascoste e da scoprire; non è questo il momento delle poesie e delle filastrocche, c'è da salvare un seme...
E' questo il carattere delle cose che nascono in Gennaio: anche dei giorni, delle azioni, delle città. delle persone, degli editti. Eccetera.

Bene, il passaggio astrologico cuce alcune delle parti che erano rimaste scollegate: ancora più chiaro diventa il motivo del colore del periodo, il nero, e della pietra: opale nera che nasconde nei riflessi i colori, ossidiana misteriosa: pietre scure che si adattano a questo periodo dove i neri prevalgono; fotografando ci sono distese di neri a perdita d'occhio, ovunque ci si giri.

Così al caldo di queste storie parte questo gennaio, questo mese numero uno; anche la numerologia ci aiuta a capirne l'essenza. Lontano dallo zero che è cerchio, eternità, divino, l'uno si differenzia da tutto ciò che c'è prima e da tutto ciò che lo segue; è però alla base di qualsiasi altro numero, che senza di lui senso non avrebbe. Così com'è chiaro che senza questo freddo e buio periodo di 'finta quiete' in cui lavorano le forze sotterranee non ci sarebbe la vita che esplode nel resto dell'anno.
Velocemente il pensiero si sposta dall'uno al sè: la base del ragionamento, il riconoscimento del proprio essere come base per poter conoscere gli altri: s'affollano il cogito di Cartesio, il greco 'conosci te stesso', l'evangelico Medice cura te ipso o 'ama il prossimo tuo come te stesso'. Non di più di te stesso, ma come te stesso: perchè tu sei l'uno senza il quale non hanno senso gli altri, non esiste la società. Senza gennaio non esistono gli altri mesi.

La liturgia di questo mese mi chiede di guardare la roverella.
E' una pianta non molto grande, della famiglia delle querce (quercus pubescens) ma, a diversità delle altre piante, tiene le foglie secche sui rami fino a primavera, quando nasceranno le foglie nuove. La riconoscete perchè nei boschi invernali spicca con il suo carico di foglie marroncine.

E' lei, con questo estremo attaccamento alla vita, che tiene in mano il testimone, che ci dimostra che la forza vitale esiste, che veglierà su tutti fin quando il sole non ricomincerà a scaldare la terra e a far nascere le piantine.
A volte, in questi freddi giorni, scalda il cuore la carezza che una roverella può fare al vostro sguardo; non negateglielo.




p.s: dopo il commento di Fabri aggiungo il link all'ascolto dell'aria sulla quarta corda di Johann Sebastian Bach.



fabri 4 gennaio 2011, 09:39
un'esperienza personale.
come potrebbero non essere personali parole che provano a portare un contributo alle tue sul mese di gennaio?
si, la roverella siamo noi, con il nostro sempiterno - a volte goffo - tentativo di appropriarci della più misteriosa e non svelata delle materie, la coscienza del nostro sé, ma...esistono momenti in cui tutto si sospende, in cui anche il tempo non ha più nulla da condividere con lo spazio in cui agisce e non riesce a ritrovare la sua dimensione, e si confonde, e ci confonde lasciandoci, per istanti brevissimi e bellissimi, in una surreale immobilità, fatta di silenzio e contemporaneamente di esaltate capacità percettive.
ecco tre esperienze che, spero, mi aiuteranno a spiegarmi. si provi ad ascoltare l'aria sulla quarta corda di Johann Sebastian Bach: ci sono diversi passaggi in cui la perfezione matematica della musica, quella geometria celestiale su cui si fonda tutta la sua musica, viene improvvisamente interrotta da un lievissimo silenzio. il cerchio sembra chiudersi in una nota ideata apposta per raccogliere tutte le altre e portarsele via, verso quel silenzio magico che è l'assenza di musica il cui valore si comprende a fondo soltanto dopo l'ascolto, e invece arriva quella nota apparentemente definitiva, ma al contrario inaspettatamente seguita da un'altra nota, un po' più alta, che tradisce la matematica rendendola sublime, e ci prende per mano nuovamente e ci porta a fare altre esperienze d'ascolto con lo stesso animo sospeso di poco prima, ma questa volta pronti alle sorprese. si provi, ancora, a percorrere con mezzi improvvisati tutta la Patagonia argentina, a viaggiarla di notte nei suoi sconfinati silenzi, a viaggiarla di giorno accettando il suo affascinante nulla; si provi, infine, ad arrivare in un luogo del proprio immaginario infantile, a "conquistarsi" el fin del mundo, la città di Ushuaia, si provi a farlo al tramonto, quando il nero del cielo, che è uguale a tutti i crepuscoli del mondo, contende agli ultimi bagliori del giorno il diritto di prevalere. si provi, in quel momento, ad andare in riva al mare e a realizzare, definitivamente, che oltre a quella battigia... si provi, per finire, a lanciare in aria una pallina da tennis, in modo da formare un immaginario angolo acuto tra il punto di vertice e la nostra fronte protesa verso l'alto a guardarla salire. c'è un momento in cui, esaurita la spinta verso l'alto e prima di essere colpita, la pallina si ferma nell'aria: è l'ultimo istante in cui ci è concesso vederla. la musica di Bach riprende e poi finirà, come tutta la musica che produce incantesimi anche quando tace; la spiaggia di Ushuaia non è che un confine culturale, una metaforica fine dello spazio, sappiamo benissimo che oltre l'isola della Tierra del Fuego c'è ancora terra, e poi ghiacci e poi dall'altra parte altre città australi; sappiamo bene che se sbaglieremo quel servizio le regole del tennis ce ne concedono un secondo...
sappiamo, si! ma l'incantesimo di quei brevissimi momenti in cui tutto è sospeso e la magia del silenzio di quei decimi di secondo, restano un mistero. mi piace consegnare questo mistero al privilegio, ahimé fugace e di poca durata, della conoscenza di sé.
i libri e la filosofia servono per riconoscere questi momenti, spiegarli o comprenderli fino in fondo è troppo difficile. è la ricerca che insegue sé stessa, che rinasce da sé stessa, come il serpente uroboro, come l'aria di Bach. è la ricerca ciò che conta. in questo l'inverno, ne convengo, aiuta. non solo il mese di gennaio, ma l'inverno con questa sua immane idea di sospensione che getta sul mondo, con quella sua capacità di dare l'impressione di essere in grado di "fermare" tutte le cose, persino l'acqua che non si ferma mai, trasformandola in ghiaccio, persino la luce che non la controlla nessuno, accorciando le giornate, persino le parole, soprattutto quelle superflue, che nel freddo siamo tutti meno disposti ad ascoltare.
nel film "la voce della luna", Federico Fellini fa dire al suo protagonista (Benigni): "...eppure io credo che se ci fosse un po' più di silenzio, se tutti facessimo un po' più di silenzio, qualcosa, potremmo capire!" .
con Bach, ad Ushuaia, guardando una pallina, si può ascoltare la vera voce del silenzio.
...ma anche - ça va sans dire -  passeggiando nei boschi dietro casa e guardando la roverella!        
biagio 4 gennaio 2011, 13:30
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Bè, ragazzi. Che dire...niente, si stà a bocca aperta !
Capisco amici che sono entusiasti di questo Sito, a cui chiedo di scrivere..
Mi dicono, no, non possiamo, è un LIVELLO TROPPO ALTO, abbiamo paura di storpiare.
No amici, esprimiamoci  anche noi, come possiamo.
Parlo per me, con la mia poca cultura, con un lessico...magari inapproppriato...ma con il bisogno spirituale di condividere .
Ringraziando ancora gli impagabili Italo e Fabrizio..... Suggerirei a Tutti di leggere l'articolo di Adriano Sofri su Repubblica di oggi:  per chi suona la campana ".
E per chi non ha Repubblica, sarebbe bello che riassumessero l'articolo intelletuali come Italo, Fabrizio o Diego...
pace

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