lettera ai giovani di un "cattivo maestro"

C'è una donna nelle mie mattine pre-lavorative.

È già in là con gli anni, mentre io sono poco più che un ragazzo.

Ne incrocio lo sguardo nel gelo invernale, e nell'unica frescura delle albe estive, tutti i giorni, sia che vada a lavorare in bicicletta, sia che ci vada a piedi.

Sembra che ci diamo un appuntamento.

Eppure non ci conosciamo.

Le rare volte che la incontro fuori dall'orario pre-lavorativo, al mercato, in qualche negozio, semplicemente per strada, non ci salutiamo. Sappiamo di conoscerci ma tra noi c'è solo quello sguardo del mattino, troppo poco, secondo stupide convenzioni che comunque rispettiamo, perché nasca l'intimità del saluto.

Solo un cenno, qualche volta, quando proprio ci incrociamo per strada e non c'è nessun altro a giustificare il deviare del nostro sguardo: un lievissimo sorriso di intesa su ciò che solo noi sappiamo.

E ciò che sappiamo è che lei vede ogni mattina un giovane uomo andare al lavoro, ed io una anziana donna sbattere il tappeto dal balcone.

Tutto qui. Per venti, trent'anni.

Tutto uguale, tranne il tempo che si porta via le nostre abitudini e ci trascina con loro verso il momento in cui si interromperanno.

È strano come questo appuntamento del mattino poco influisca sul corso delle mie, come delle sue, giornate, ma come ritorni immancabilmente, quando svolto una certa curva, come una confortante certezza: ecco – penso – anche oggi sbatterà il tappeto. Poi dimentico quel gesto, quell'incontro, quel pensiero. Non è un momento importante, ma è un momento cannibale. Per me, per lei, è il segno del tempo che ci sta divorando. Nell'abitudine dei soliti gesti, nella certezza di un breve percorso, nel reciproco dimenticarsi del tempo, nel farci travolgere da pensieri che non ci appartengono (lavorare otto ore al giorno, sbattere il tappeto), quella donna ed io invecchiamo insieme, senza saperlo, senza poterci far nulla.

Lo sappiamo, ci saranno sempre tappeti da sbattere e più lavoro da fare di quello fatto, ma noi, come Sisifo, continuiamo ad incrociare i nostri sguardi del mattino come se nulla fosse. Ed è forse proprio il nulla che ci accomuna.

Oggi nono ho incrociato quello sguardo.

Oggi nessuno ha sbattuto il tappeto dal balcone mentre andavo a lavorare.

Oggi ho scoperto come si chiama quella donna: Nicoletta.

L'ho saputo dall'annuncio mortuario appeso sul cancello della sua modesta casa.

Non fate così, giovani.

Non lasciate che il vostro percorso sia sempre lo stesso.

Percorrete le strade del mondo, anche se non ne conoscete il destino.

Abbiate come spinta la forza dei vostri anni e la conoscenza della parte buona delle tecnologie, non ascoltate i discorsi sulla monotonia di gente molto autorevole ma senza prospettive, tuttavia evitate di sedervi, fate guizzare i vostri sguardi rapidi su realtà che non conoscete: soffermarsi troppo a lungo su una realtà nota, significa morire sbattendo un tappeto o guardando una donna che lo fa.

Non lasciatevi cannibalizzare dal tempo, siate voi ad usarlo e non consentitegli, nella ripetitività delle azioni della vostra vita, di trascorrervi addosso senza che ve ne accorgiate se non da qualche ruga, qualche capello in meno e magari un po' di pancia.

Ci sono donne che ogni mattina del mondo sbattono i tappeti fuori dal balcone ma, credete, ci sono posti in cui non ci si vergogna di salutarsi, basta incrociare lo sguardo di una di queste donne e ricambiarne il saluto per sentirsi più autorevolmente e con più piacere, parte attiva dell'umanità.

Ci sono questi posti, cercateli.

Cercate di vivere in modo poetico la vostra vita: la poesia è un viaggio attraverso noi stessi che non deve essere contagiato dalla realtà che ci circonda. Vestitevi di leggerezza e andate per il mondo.

Se riuscirete a trovare una chiave poetica per interpretare la vostra vita, ne diverrete protagonisti e sarete salvi.

Non aspettate di scoprire il nome di una persona dal suo annuncio mortuario: chiedeteglielo!

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