wiki-finale: prima e dopo

Prima e dopo quella corsa nel basso e il ritrovamento della bottiglia.
Prima e dopo quella assurda giornata di novembre.
Erano ormai passate settimane e ancora non si capacitava.
Era successo tutto in un solo giorno. E un solo giorno lo aveva cambiato completamente e sembrava aver modificato anche le strade, le case, la natura che lo circondava. E le persone.
 
Da quel giorno non aveva più visto neanche Matilde, non usciva di casa se non per andare dal dottore a farsi dare un'altra settimana di mutua. Non parlava con nessuno. Non rispondeva al telefono.
Si era messo in testa di cancellare quella giornata, e quello che era accaduto, dalla sua memoria. Perché quello che è accaduto non può essere vero, si diceva, e quindi sto diventando pazzo. Punto.
E se voglio uscirne, continuava a dirsi, devo rendermi conto che in realtà mi sono immaginato tutto, che era un sogno, che non è vero niente.
 
Alla terza settimana capì che non riusciva a dimenticare.
Così provò a fare il contrario, provò a ricordare, a ripercorrere tutta quella giornata di metà autunno per trovare una falla, una spiegazione, una giustificazione alla strana follia da cui si sentiva assediato.
 
Confusione. Ecco il risultato: confusione. Ripercorrere con la memoria le tappe di quel giorno non fece altro che aumentare la confusione.
Allora aprì quel cassetto, quello che da tre settimane ignorava, anche solo con lo sguardo. Il cassetto in cui aveva riposto i due fogli ritrovati quel giorno.
Aveva ignorato quel cassetto perché continuava a sperare che quella giornata, il ricordo di quella giornata, fosse solo illusione.
Aprì il cassetto e i fogli erano lì, coi loro astrusi disegni, o codici, o labirinti. E poi c'era la foto del campanile che svaniva, la foto che avevano scaricato da internet, da un sito.
 
Ebbe un'intuizione, banale, talmente banale che era rimasta lì per tre settimane. Talmente banale da essere travolta dal fiume di assurdità accadute quel giorno e talmente banale da essere anestetizzata dalla paura di essere pazzo nelle settimane seguenti.
Si collegò a internet, digitò www.lacassa.net.
E capì che aveva sbagliato a riflettere sul prima e sul dopo, che forse non c'erano neanche un prima e un dopo, ma solo un durante.
 
Guglielmo uscì e incominciò il suo giro. Aveva in mente due film: uno riguardava la sua situazione, il suo sentirsi in un vicolo cieco, senza sapere dove sbattere la testa, o peggio ancora, andando a sbattere continuamente la testa come un topolino da laboratorio, contro una teca di vetro, contro un fondale che non riusciva a vedere; The Truman show. L'altro film riguardava quello che stava per fare, un vecchio film di Bunuel.
 
Passò dal primo, suonò il campanello e non rispose al citofono. Il primo si affacciò dalla porta:
-         Chi è?
-         Io.
-         Ah.
-         Vieni.
-         Dove?
-         Vieni e prendi le chiavi. Conosci Bunuel?
-         ...
-         Muoviti.
Insieme, senza dire una parola, si incamminarono per il Colverso.
La seconda non era in casa, uno dei figli disse loro che probabilmente l'avrebbero trovata per strada, che era andata a prendere il pane.
La incontrarono tornando indietro all'altezza della strada del Chios.
-         Lui chi è? Chiese la seconda al primo.
-         Dovresti saperlo.
-         Andiamo.
Passarono in piazza a prendere la terza, che a vedere gli altri due con quell'espressione interdetta, insieme a Willy, non sapeva se ridere o spaventarsi; poi in via Fila a chiamare la quarta a casa, a dire il vero non molto convinta a seguirli.
Il quinto, il sesto e il settimo vennero convocati per telefono e nel giro di mezz'ora erano lì, davanti alla biblioteca.
Dieci minuti dopo arrivò anche l'ottava.
C'erano tutti.
-        Apri, disse Willy al primo.
 
Uno alla volta entrarono in biblioteca e rimasero in piedi tra gli scaffali e la scrivania.
-        Bene. Vi siete divertiti?
-        Eh, eh, sì, rispose il quinto.
-        Io meno.
-        Dai, non mettarla giù così dura, disse la terza.
-        Vediamo un po', disse Willy dopo un minuto buono di silenzio in cui gli otto si guardarono imbarazzati, non so quanti anni ho, sedici anni, trenta, cinquanta. Non so bene come mi chiamo: Willy, Guglielmo, Vattelapesca. Non so camminare per le strade del paese senza pensare che qualcosa di terribile mi stia per capitare addosso. Non riesco a passare troppo vicino ai muri delle case, a stare dentro un negozio per più di tre minuti se ci sono altre persone, a sostenere una conversazione degna di questo nome. Non lavoro. Non vado a correre e anche solo a pensare al basso del paese o ai ruderi della turasa mi monta l'ansia. Di notte sogno scimitarre insanguinate, papiri ingialliti, codici a barre, labirinti e puntualmente mi sveglio di soprassalto al suono insistente di un cellulare che non dovrebbe suonare perchè ha la batteria scarica. Poi mi alzo, mi affaccio alla finestra e il campanile sembra che si stia dissolvendo e i coppi della casa del vicino assumono consistenze liquide. Allora urlo, provo a urlare, tutte le notti da tre settimane a questa parte, e finalmente mi sveglio veramente.
E poi Matilde. Non posso più avvicinarmi a Matilde, che questa storia della telepatia mi ha veramente mandato nei matti. E a dire la verità non so neanche più chi sia esattamente per me, chi sia diventata Matilde: amante, moglie, fidanzata.
-        Era solo un gioco, disse il quarto.
-        Benissimo. C'ho messo un po' ma l'ho capito. Molto divertente.
-        Allora adesso sei libero, disse l'ottava.
-        Sì, io sì.
-        In che senso?
-        Nel senso che voi avete giocato con me, mi avete fatto fare e sentire le cose più improbabili, mi avete fatto andare avanti e indietro per il paese e per le rive, mi avete fatto correre sotto la pioggia come un gadano, mi avete fatto assumere sostanze allucinogene e svenire, mi avete reso impossibile comunicare in maniera normale con la mia compagna. Bel gioco.
Mi ha ricordato un film visto qualche anno fa. Tutti si divertivano a guardare, meno il protagonista.
Poi mi è venuto in mente un altro film, molto più vecchio e ho pensato a voi.
Si intitola “L'angelo sterminatore” e parla di un gruppo di persone che inspiegabilmente non riesce più ad uscire dalla stanza in cui si trova. L'avete visto?
-        Sì, io sì, rispose qualcuno.
-        Ma con noi cosa c'entra?
 
 
Gli otto rimasero in silenzio ad ascoltare la porta che si chiudeva, il rumore dei passi di Willy, o Guglielmo, o quello che era, giù per le scale. Si guardarono: qualcuno rideva, qualcuno sembrava nervoso, nessuno parlava.
Nessuno usciva.
Nessuno riusciva a uscire da quella porta.
 
Ma questa è un'altra storia.

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