La Cassa vista dalla luna

diego finelli
ho provato a liberare un libro
Ho provato a fare questo esercizio, a pensare a La Cassa da molto lontano, non tanto quanto ai chilometri quanto all'idea, al modo di vivere, alla concezione dello spazio.
Ho provato, per esempio, a guardare La Cassa da Parigi e mi sono sentito un po' come quello della barzelletta, quella barzelletta del barotto piemontese che dalla campagna, o dalla montagna fate voi, va a fare un giro in città, a Torino. Poi torna al paese e racconta agli amici (dovrei scriverlo in piemontese, ma non sono buono):

Son stato a Torino: le strade erano grandi, grandissime, piene di piante; Porta Nuova poi era enorme; passano i tram e i filobus dappertutto, fino sopra i muri e se non ti muovi ti vengono contro; in via Roma luci, colori, rumori a mai più finire; i negozi: un lusso.
Poi sono entrato in un bar, in via Roma, ho preso un caffè: mi hanno pelato vivo. Allora ho chiesto di andare al bagno e sono passato di fianco al bancone, tutto lucido, cromato, col piano in marmo chiaro. Sono andato al bagno, dicevo, e sapete cosa c'era? Il cesso d'oro: sì, non mi credete? Il cesso era d'oro , tutto subito non ci credevo neanche io, mi genavo un po', ma sulla fine ho dovuto cedere e l'ho fatta proprio lì, anche se era tutto d'oro e mi rincresceva sporcare.

Ecco io a Parigi, a pensare a Giurdanin, a guardare La Cassa da lassù, mi sentivo come il Pinot della barzelletta e ho pensato che: il guidatore della metro che abbiamo preso per andare a Montmartre era Abraracourcix, il capo villaggio dei fumetti di Asterix e Obelix (o comunque assomigliava molto).
In uno solo di quei palazzi di fianco ai quali passavamo col treno per andare in città al mattino, in uno solo di quei palazzi ci può stare l'intera popolazione di La Cassa, Trucco e Mattodera inclusi; allora ho provato a immaginare le elezioni del sindaco – amministratore di condominio e dei capo scala – assessori, ma ho smesso subito.
Quando ho visto i giochi d'acqua di fianco al Centre Pompidou, dove i masnà sono rimasti in ammollo per mezz'ora, a arrampicarsi e spruzzarsi e giocare, e noi anche coi piedi a bagno a fare le foto, quando eravamo lì ho pensato a tante cose ma non mi è venuta neanche di lontano in mente la fontana di La Cassa: vai a sapere perché.

Poi , a dire il vero, sono successi anche dei fatti che ridimensionano un po' questo senso di meraviglia, da una parte, e che sottolineano ancora di più, dall'altra, il nostro (mio) inevitabile, ancorché delle volte splendido, provincialismo. Due di questi fatti riguardano i masnà, uno invece si riferisce non più a Parigi ma a un paesino della Normandia dove abbiamo trascorso poi qualche giorno.

La faccia dei masnà e le esclamazioni di disappunto quando abbiamo detto loro che in Francia non usano il bidet, o quanto meno non è molto diffuso (a tal proposito chiedo scusa ai compaesani di origine francese se sto diffondendo una diceria priva di fondamento).
Il masnà più piccolo quando passeggiavamo nel parco di Versailles (43 chilometri di perimetro) ha chiesto, e non era una domanda retorica, se il parco era più grande del giardino di una nostra amica che abita alla Mattodera.
Di sabato sera, dopo aver mangiato le moule à la creme in un ristorante sul mare, in questo minuscolo paese della Normandia, mi sono reso conto per l'ennesima volta che in mezzo alla gente appena aprivamo bocca tutti si giravano a guardarci; il motivo è che da quelle parti ci sono sì turisti, ma soprattutto francesi (al massimo qualche tedesco, o inglese, di italiani poco o niente); allora ho pensato Dì, ma qui sono abituati agli stranieri meno ancora che a La Cassa, che noi almeno abbiamo un po' di olandesi.

Come finiva poi la barzelletta? Chi la sa già, che è una barzelletta proprio vecchia e tra l'altro a leggerla invece che sentirla raccontare vien male, chi la sa già smetta pure di leggere (ammesso che non l'abbia già fatto). Per gli altri:

Dopo un mese un compare di Pinot, Giuanin, va anche lui a Torino e ripercorre le orme dell'amico: Porta Nuova, i portici, le luci, via Roma, un bellissimo bar; entra, prende un caffè, chiede del bagno; dopo dieci minuti esce e siccome non ha trovato il cesso d'oro si avvicina a un cameriere e, un po' in soggezione, gli racconta quello che gli aveva detto Pinot; finita la storia il cameriere scoppia a ridere e dice forte ai colleghi: L'uma truvà cul c'a l'a cagà ‘ntal trumbun!

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