Aveva un problema. E aveva una passione.
Mangiava le pagine dei libri. Fin da bambino, coi libri di fiabe, stava a ascoltare attento e trepidante, ma solo perché aspettava la fine, aspettava il momento in cui il padre soddisfatto gli lasciava il libro in mano da sfogliare, da guardare le figure. Allora tirava via la prima pagina e la mangiava.
Il padre le prime volte si era messo a ridere. Al quarto libro rovinato si era arrabbiato. Al quinto gli aveva dato uno schiaffo. Per un po' aveva smesso. Poi aveva ricominciato, ma da furbo: mangiava solo un pezzo qua e là, un angolo, una striscia. Di nascosto. Così il padre poteva fingere di non vedere.
Mangiava le pagine dei libri, ma solo se prima li aveva letti. Niente inganni, niente pagine ingerite alla cieca. Prima leggere, poi mangiare. Non perché gli importasse un granché di quali parole ingoiava, ma perché aveva una sua deontologia, un suo amor proprio, una dignità, pensava.
Che, mangio senza sapere cosa mangio?
L'effetto collaterale di questa passione fu che lesse molti libri, molte parole, un po' come il topo di quel romanzo americano di successo. Solo che a lui, a differenza del topo, non interessava l'aspetto culturale, a lui piaceva mangiare le parole sulla carta, e basta.
Un giorno mangiò pagina 147 di un giallo, la soluzione dell'inchiesta. Si sentì benissimo. Un po' meno bene quando il bibliotecario lo scoprì.
Un'altra volta masticò per un quarto d'ora alcune poesie di Carver: subito avevano un gusto, poi un altro, poi un altro.
L'aspetto del mangiatore di carta era quello che ci si può aspettare da un individuo timido e bizzarro: non lo si notava alla prima occhiata e neanche alla seconda o alla terza. Non lo si notava. A parte i denti un po' macchiati, a guardarli da vicino, niente denunciava esternamente la sua insolita passione, se non quell'aria schiva e trasognata che si può cogliere in chi coltiva da sempre un segreto e non ha ancora trovato a chi confidarlo.
A scuola se la cavava bene, viveva di rendita dei libri divorati per diletto. Per ovvi motivi era un problema il ripasso delle lezioni, perché le pagine, una volta lette, venivano buone per altro. Fortunatamente aveva buona memoria.
Un giorno, in sacrestia, mangiò due pagine del messale e capì che era quello che cercava da sempre.
Un giorno lo chiusero in un posto dove non c'erano libri, così smise di mangiare la carta.
Si dedicò al vino con molto impegno e ne morì.