il sostituto

vittoria fauro

Imbarloccato fino alla nausea. Così se ne usciva dall'ennesima riunione di condominio. Possibile, possibile che si dovesse sempre finire così tardi ?
Per cosa poi ? Sentire sempre le solite cose: l'inquilino del terzo piano che si lamenta che la convocazione è stata spedita in ritardo e minaccia di far annullare l'assemblea; la signora dell'ultimo piano che si lamenta che fa sempre freddo; il nuovo arrivato, quello della scala B, che trova il posto auto sempre occupato.
E via così, parole, parole, ore e ore di parole per votare uno straccio di ordine del giorno per appaltare la pulizia delle scale. E anche qui, apriti cielo, non c'è mai niente che va bene: e sono troppo cari, e non puliscono bene, ma quelli dello scorso anno facevano troppo rumore quando venivano a pulire la mattina presto che qui c'è qualcuno che lavora fino alle tre, sapete, e alla mattina sentire alle sette qualcuno che ramazza le scale, e con quale garbo, poi, mica è piacevole.
Ma che ci vengo a fare ? Si chiedeva. Si, lo so che ci vengo a fare. L'ultima volta che non mi sono presentato hanno votato la tinteggiatura della facciata, sono ancora qui che pago le rate dei lavori, accidenti. Ma non ci sarà un modo per evitarlo ?
Con questi pensieri se ne era andato a dormire, e forse a causa di questi pensieri, o della peperonata che non aveva digerito bene, aveva fatto dei brutti sogni, inquietanti, dove si trovava solo a girare per strade deserte, in un inverno piovoso, nebbioso, tenebroso e tanti altri oso che neanche ricordava, e lui nel sogno camminava guardingo, come un cane braccato. Qualcuno o qualcosa lo stava inseguendo, aveva paura, cercava un nascondiglio ma niente sembrava andare bene. Nessun angolo, portone, androne, cartone, ecco, ancora quell'effetto eco nei suoni del sogno, insomma, nessun luogo per nascondersi, scappare, scappare, aveva questa frenesia di scappare e non riusciva a mettere a fuoco da cosa.
Così il giorno dopo al lavoro era di un umore un po' tetro. I colleghi giravano alla larga, fino a che, durante la pausa caffè, Giovanni lo aveva avvicinato per chiedergli se andava tutto bene.
Si, certo, bene, che vuoi che sia. Ho dormito male, poi ieri sera sono andato alla riunione di condominio e sai com'è...
Ah, non me ne parlare, aveva risposto Giovanni, stasera tocca a me e mi viene l'orticaria solo al pensiero. Chissà come sarà, sai che ho appena cambiato casa. Non so cosa darei per avere un clone da mandare al posto mio.
Era tornato a lavorare, ma un pensiero strano gli si era acceso nella mente.
Per quale motivo non riusciva a spiegarselo, ma avvertiva forte il desiderio di vedere come fosse quella riunione di condominio.
Così, controllando la frenesia che lo aveva assalito era andato da Giovanni a proporgli la sua, decisamente balzana, idea.
Fare il suo clone, la sua controfigura. Non era impossibile: la casa grande, il via vai di inquilini, la fretta e l'indifferenza. Chi avrebbe mai sospettato di lui se si presentava a nome di Giovanni ?
Per la verità Giovanni aveva accolto l'idea con una bella risata. Poi però, dopo le insistenze di Roberto, aveva cominciato a farsi strada un pensiero, come di liberazione, un senso di benessere che lo aveva guidato in quella assurda decisione.
Così Roberto-alias-Giovanni si era presentato quella sera alla riunione di condominio. E la riunione era stata come tutte le sante innumerevoli riunioni di condominio: lunga, litigiosa e, in definitiva, inconcludente.
Roberto l'aveva affrontata con grande serietà, cercando di essere attento e scrupoloso, senza mettersi in mostra e passare per pignolo. Approvando quando tutti approvavano e rifiutando quanto tutti rifiutavano. Aveva seguito le solite, eterne, discussioni con cinico distacco, annuendo o scuotendo la testa, a seconda delle pieghe che prendeva il discorso, seguendo in questi gesti i suoi vicini più prossimi.
Uscendo, ad ora tarda, pensò che non era andata poi male, Giovanni sarebbe stato contento; pensò che, in fondo, si era perfino divertito.
Lo scherzo, o gioco, finì lì. Giovanni ringraziò, regalò a Roberto anche due bottiglie di vino, per sdebitarsi del disturbo.
Fu dopo qualche tempo che un collega, conoscendo il fatto, si rivolse a Roberto per una "sostituzione". Aveva organizzato una serata speciale e la riunione di condominio proprio non ci voleva. Era disposto a remunerare adeguatamente il disturbo, ovviamente.
E dopo venne l'amico che aveva bisogno di una copertura per vedere l'amica di nascosto dalla moglie.
E poi fu Giovanni che, alla riunione successiva, si disse preoccupato che qualcuno lo riconoscesse o, meglio, non lo riconoscesse. Così aveva proposto a Roberto un accordo a più lungo termine, condizioni di assoluto favore.

E' passato quasi un anno da quella prima volta. Roberto ha lasciato il lavoro che non gli dava la minima soddisfazione. Ormai ha un giro di clienti tale da non doversi più preoccupare di come guadagnarsi da vivere. Di sera in sera è Giovanni, Alberto, Fabrizio.
A volte vestito di tutto punto con il completo grigio, a volte casual. Per non confondersi tiene nota in un libretto dei fatti salienti, delle persone, di quale è stato il modo in cui si è presentato. Relaziona ai clienti meglio del verbale ufficiale. 
Ogni sera va in scena su un palcoscenico diverso e pensa che non si è mai divertito tanto in vita sua.
 

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