Se questo è un terrorista

marcello brina
Fuori infuria la bufera, dentro la piccola abitazione si sente solo il turbine del vento il vortice delle fronde piegate.
E' un rumore rassicurate, fra poco fara' buio, e spenta la candela la tormenta sara' l'unica compagna gradita per la notte.
Un attimo, il barlume di un pensiero e la furia della natura viene cancellata dalla furia umana.
A 100 o 10000 metri dalla stamberga all'improvviso infuria la battaglia.
Lei riconosce solo il suono familiare del kalashnikov i tuoni piu' fragorosi e potenti non li conosce, sa che sono del nemico.
D'istinto e' per terra sotto il tavolaccio abbracciata ai fratellini che tremano scomposti, mai abituati al terrore all'incertezza del domani.
Da sotto il tavolaccio intravede nel tremore della candela le scarpe, i pantaloni del papa'. E' rimasto seduto, di pietra.
Non dice nulla, ma lei sa cosa sta pensando.
Fuori ci sono i suoi fratelli, i suoi figli, lui e' rimasto a casa perché la mamma si e' messa di traverso sulla porta e gli ha giurato che se fosse uscito si sarebbe uccisa, e ucciso il resto della famiglia; mia sorella
vedova, me e i due gemelli di otto anni.
Glielo ha detto solo una volta sibilandolo fra i denti, ed e' bastato affinche' lui gli credesse.
Dalla sua posizione lei vede anche le gambe gonfie della mamma, immobile, al  centro della cucina, come paralizzata.
I minuti scorrono lenti, fuori la battaglia imperversa, ora sembra allontanarsi, altre volte sembra si combatta proprio fuori la porta.
Se lei avesse mai giocato ad un video-game, le sembrerebbe esattamente cosi'.
Crepitare di armi, nessun grido di dolore, nessuna figura, solo una piccola fessura sulla parete che trasmette bagliori.
Solo l'immaginazione e poi il silenzio.
E' una prassi, con il calar della notte la temperatura scende troppo per permettere un combattimento con armi leggere, allora si sente ancora qualche mortaio, un cannone e via scemando fino al silenzio piu'  assoluto.
Domani uscira' con la mamma e il papa' a cercare i corpi rimasti sul terreno, seppellirli in fretta senza nome e senza lacrime per evitare al nemico di risalire alle famiglie, poi aspettare la fine di un altro giorno.
Si stava lasciando andare nel torpore del sonno quando un calcio assestato con violenza non precipita la porta sul pavimento della cucina.
La fiamma della candela illumina figuri enormi, avvolti in spessi pastrani, abbordati di armi e zaini.
Vedo i piedi di mio padre immobili, non uno scatto, un segno di vita.
Non vedo la faccia, ma m'immagino il suo sorriso beffardo e due piccoli occhi socchiusi che scrutano mia madre dicendole "e adesso?"
E' un attimo.
I mitra fanno piazza pulita, vedo mio padre accasciarsi a pochi centimetri da me, poco lontano mia mamma cadere senza un lamento.
Poi le urla di mia sorella trascinata lontano da due soldati, poi i due gemelli strappati dalle mie braccia e sgozzati con un colpo secco di baionetta.
Vengo presa, coricata sul tavolaccio ...
Il silenzio innaturale  viene rotto finalmente da risa sguaiate e canti da caserma.
Il poco vino rimasto nella brocca mi viene versato addosso, labbra arse e menti spinosi mi violano l'anima.
Poi uno sparo, tutti si allontanano dal mio corpo, l'ufficiale spinge un soldatino, lo irride lo vezzeggia lo insulta, poi un incitamento da stadio, fischi e urla lo spingono fra le mie gambe divaricate.
Apro un attimo gli occhi e vedo il volto di mio fratello, di un ragazzino identico a mio fratello, forse 17/18 anni, morto di paura e vergogna, armeggia tra strattoni e spinte fra le mie gambe, poi impotente scoppia a piangere.
Me lo sento strappare di dosso, l'uomo che ora mi sta schiacciando non ha bisogno di particolari stimoli, mi fa un male terribile e grazie a dio svengo.
 
Non so perche' sono stata risparmiata, di solito non usano lasciare tracce e testimoni, pero' sono viva e non so se e' un bene.
Quando la pancia ha cominciato a crescere, ho capito che sarebbe stato mille volte meglio morire su quel tavolaccio.
Non faccio colpa al bambino, e' una povera creatura senza speranza, domani potrebbe essere sgozzato dal padre o se femmina violentata dal fratello, perche' questo povero paese non ha passato ne' presente ne' futuro.
E' sempre stato cosi' e cosi' sara'.
La vendetta di mia madre e' stata quella di allevare un figlio frutto della violenza come uno di noi, poi armarlo e mandarlo a uccidere il suo popolo.
Io non faro' la stessa cosa.
Nel rispetto mio, della creatura che porto in grembo, per mio padre, per tutti, io mi immolero' affinche' la sorte del mio popolo non rimanga circoscritta tra quattro confini sperduti.
 
Pensava questo, lei, mentre con il pancione e la dinamite a mo' di panciera si avviava a prendere la metro.
I colori , le risate cristalline dei ragazzi gioiosi con le loro compagne, i tram, le insegne la stordivano.
Come era ingiusto dio, quello che per milioni di persone e' naturale scontato per altri milioni di persone e' utopia, impensabile inimmaginabile.
Il metro era affollato, lei si accarezzava la pancia, da dentro ogni tanto il bambino scalciava, sarebbe andato via senza soffrire senza accorgersi di niente, non avrebbe passato neppure un minuto nel terrore, non avrebbe mai avuto il volto inespressivo dei gemelli, nessuno gli avrebbe fatto del male, ancora pochi minuti.
 
I due ragazzi vicino a lei potevano avere l'eta' dei gemelli, si erano strattonati e spinti fin vicino a lei, e adesso scherzavano e parlavano concitatamente di vacanze scuole e regali.
Li guardo' un attimo di sfuggita, erano i suoi fratelli, erano identici ai suoi fratelli ed ebbe compassione pensando alle loro mamme, alle grida strazianti ai volti sfigurati di dolore.
Si alzo' e fece ancora qualche metro lontano dai due ragazzi, non poteva risparmiarli, pero' poteva regalare alle loro mamme un corpo su cui piangere.
 

italo11 aprile 2010, 17:17
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Bello scritto, grande tragedia ben raccontata, troppo vicina a noi per vederla, meglio lasciarcela rimbalzare addosso. A volte non finisce così, a volte queste donne cecene non lo fanno e dopo ci raccontano Dovevo farmi saltare in aria per riscattare la mia colpa. Leggendo quello che raccontano, paradossalmente, fa ancora più male: ci stiamo abituando ai kamikaze, difficilmente possiamo abituarci alle parole di queste donne. Le parole, forse, possono più delle bombe.

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