Questioni di interpretazione

Fabio Lamon
 Apprese le repliche del Sindaco Rolle e dell'Avv. Alberto Costanzo pubblicate su Il Risveglio del 21/01/2010 intendo fare chiarezza sui motivi fondanti la mia presa di posizione.
 
Inizio la mia dissertazione riportando gli Artt.1 e 4 della Legge 20 giugno 1952, n. 645 (cosiddetta Legge Scelba):
 
Art. 1 - (Riorganizzazione del disciolto partito fascista).
Ai fini della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.
 
[...]
 
Art. 4 - Apologia del fascismo
Chiunque fa propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità ideate nell'art. 1 è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire 400.000 a lire 1.000.000. .
Alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni .
La pena è della reclusione da due a cinque anni e della multa da 1.000.000 a 4.000.000 di lire se alcuno dei fatti previsti nei commi precedenti è commesso con il mezzo della stampa.
La condanna comporta la privazione dei diritti previsti nell'art. 28, comma secondo, numeri 1 e 2, del codice penale, per usi periodo di cinque anni.
 
Riguardo all'Art 1 eccepisco che il Sig. Michelini, firmandosi Presidente della Federazione Provinciale Combattenti della RSI, non scrive come privato cittadino, bensì come Presidente della sua Associazione.
Contestando ai “vincitori” (Partigiani e forze democratiche) un presunto “fallimento morale” e affermando che “il tempo delle menzogne è finito” egli denigra i valori della Resistenza e le istituzioni democratiche che da essa sono nate.
Questo fatto, a mio parere, rientra nella fattispecie indicata nell'Art.1 L.645/52 sopracitata.
 
Quanto all'Art 4 sono cosciente della sentenza della Cassazione Penale, Sez. II, 23 Maggio 1979, la quale riprende una precedente sentenza della Corte Costituzionale, del 16 Gennaio 1957 N.1, la quale afferma in diritto che:
 
“[...]Come risulta dal contesto stesso della legge 1952 (le cui norme, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 10, cesseranno di avere vigore appena saranno state rivedute le disposizioni relative alla stessa materia del Codice penale), l'apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione.
Trattasi non di una istigazione diretta, perché questa è configurata nell'art. 2 della legge 1952, bensì di una istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente.[...]”
 
Ma la Corte Costituzionale è ritornata ad analizzare questa materia, nella sentenza 25 Novembre 1958 N.74, dove, in diritto, afferma che:
“[...]In tale sentenza [16 Gennaio 1957 N.1], nella quale, contrariamente a quanto è affermato nell'ordinanza del Pretore di Forlì, fu dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 20 giugno 1952, n. 645, si osserva che: "Come risulta dal contesto stesso della legge 1952... l'apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione".
Questa disposizione pone sì un divieto, ma ciò non deve indurre nell'errore di farla considerare quasi come un divieto penale, costretto, nella interpretazione, entro i limiti della sua formulazione espressa. Le norme penali sono venute successivamente, con le leggi del 1947 e del 1952, sia nella parte sanzionatoria sia in quella precettiva. La XII disposizione transitoria va pertanto interpretata per quella che è, cioè quale norma costituzionale che enuncia un principio o indirizzo generale, la cui portata non può stabilirsi se non nel quadro integrale delle esigenze politiche e sociali da cui fu ispirata.
Riconosciuta, in quel particolare momento storico, la necessità di impedire, nell'interesse del regime democratico che si andava ricostituendo, che si riorganizzasse in qualsiasi forma il partito fascista, era evidente che la tutela di una siffatta esigenza non potesse limitarsi a considerare soltanto gli atti finali e conclusivi della riorganizzazione, del tutto avulsi da ogni loro antecedente causale; ma dovesse necessariamente riferirsi ad ogni comportamento che, pur non rivestendo i caratteri di un vero e proprio atto di riorganizzazione, fosse tuttavia tale da contenere in sé sufficiente idoneità a produrre gli atti stessi. Non è infatti concepibile che, mirando al fine di impedire la riorganizzazione, il legislatore costituente intendesse consentire atti che costituissero un apprezzabile pericolo del prodursi di un tale evento. Ciò risulta non soltanto dalla logica interpretazione dei motivi, e quindi dei limiti, della norma, ma dal testo medesimo della XII disposizione. Nel primo comma l'inciso "in qualsiasi forma" sta appunto a significare la preoccupazione del costituente di non irrigidire il precetto entro limiti formali e di mirare al di là degli atti di riorganizzazione strettamente intesi. Ciò si desume anche dal secondo comma della disposizione, il quale, conferendo al legislatore ordinario la potestà di fissare, per i capi responsabili del regime fascista, limitazioni temporanee al diritto di voto ed alla eleggibilità, mostrava di dare piena rilevanza ad una situazione che era appunto di mero pericolo. Ne deriva che il legislatore ordinario, nel dare con le sue norme concreta attuazione ai criteri espressi dalla norma costituzionale, era autorizzato a spingere i suoi divieti al di là degli atti veri e propri di riorganizzazione strettamente intesi, comprendendovi anche quelli idonei a creare un effettivo pericolo. Posto un tale principio è irrilevante che trattisi di delitto o di contravvenzione, perché, richiedendosi la obbiettività degli atti, può essere legittimamente oggetto di divieto penale ogni atto nel quale, sia pure in diverse proporzioni, quella idoneità si manifesti. Per le ipotesi previste dalla impugnata norma dell'art. 5 della legge del 1952, è noto che, trattandosi di fatti contravvenzionali, basta la volontarietà dell'azione, e - ben si intende - non dell'azione soltanto materialmente intesa, ma dell'azione in quanto costituisca manifestazione usuale del disciolto partito fascista. Sulla base dei limiti della volontarietà così intesa, non è escluso che anche siffatte minori manifestazioni possano in taluni casi essere tali da costituire, obbiettivamente, quel pericolo che, secondo lo spirito della norma costituzionale, si è inteso prevenire.[...]
 
 
 
Dall'analisi delle affermazioni della Corte si evince che la XII Disposizione debba essere interpretata in base alle esigenze sociali e politiche nelle quali era nata: volta ad impedire la ricostituzione del partito fascista la disposizione non può limitarsi ad impedire gli atti finali di riorganizzazione del partito, ma a impedire tutti quegli atti “in qualsiasi forma” idonei a crearne un effettivo pericolo.
Si afferma poi esplicitamente che “[...]può essere legittimamente oggetto di divieto penale ogni atto nel quale, sia pure in diverse proporzioni, quella idoneità si manifesti.[...]” e che “[...] basta la volontarietà dell'azione, e - ben si intende - non dell'azione soltanto materialmente intesa, ma dell'azione in quanto costituisca manifestazione usuale del disciolto partito fascista[...]” e infine “[...]Sulla base dei limiti della volontarietà così intesa, non è escluso che anche siffatte minori manifestazioni possano in taluni casi essere tali da costituire, obbiettivamente, quel pericolo che, secondo lo spirito della norma costituzionale, si è inteso prevenire.[...].
Ora, sulla base di queste premesse è mia opinione che:
denigrare, da un lato (parlando di “fallimento morale” dei “vincitori) i valori della Resistenza e esaltare dall'altro, ponendo i combattenti della RSI dalla Parte Giusta (vorrei sottolineare l'utilizzo del carattere maiuscolo, come a sottintendere con maggiore forza la posizione positiva e legale dei combattenti) sia un tentativo di rivedere la storia sotto un punto di vista riabilitativo della RSI, ed è pacifico, seguendo la logica, che il primo passo verso una eventuale riorganizzazione sia quello di presentare il disciolto partito fascista e le sue ramificazioni sotto un profilo positivo, in contrasto con la negativa Resistenza. E' d'altronde storia recente il tentativo, da più parti, di rivedere la storia in chiave più critica (se non totalmente critica) verso la Resistenza, riportando in auge i personaggi e le istituzioni fasciste; fatto che il Sig. Michelini appoggia quando scrive “[...]Dicono che la storia la scrive il vincitore ebbene dopo 65 anni dalla fine della guerra è ora di riscriverla perchè il tempo delle menzogne è finito.[...]”.
Per questi motivi ritengo che le parole del Sig. Michelini rientrino nella fattispecie contemplata dall'Art.4 L.645/52.
 
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Per quanto riguarda invece le affermazioni del Sindaco Rolle, convengo con lui quando afferma che si “cerchi di privilegiare le proprie idee e [ci] si adoperi per difenderle”: in effetti, il Sig. Michelini sta difendendo le sue idee (anche se, a mio parere, in termini non leciti), io difendo le mie, con la non sottile differenza che le mie idee sono parte integrante della nostra Costituzione, le sue no.
Convengo anche sul fatto che Rolle sia il Sindaco di tutti i cittadini di La Cassa e che debba rispettare le idee di tutti.
Qui sorge però il problema fondante le mie richieste nei suoi confronti: ha rispettato le idee del Sig. Michelini pubblicando la sua lettera (è un diritto sancito dalla Costituzione, convengo anche su questo), ma di converso, non ha rispettato le idee di chi invece si riconosce nella Resistenza non dissociandosi dallo scritto.
Questa disparità è in aperta contraddizione con il punto di cui sopra: una disparità che non può essere risolta con l'enunciazione di sentenze o di articoli della Costituzione, ma con una semplice ma chiara presa di posizione, che purtroppo tarda a palesarsi.
 
In fede
 
Fabio Lamon

Giorgio Gino17 febbraio 2010, 00:15
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Lascio ai giuristi la dissertazione ed eventualmente alla magistratura la decisione se la lettera in questione abbia o meno violato gli articoli della nostra Carta Costituzionale e sia incappata nelle maglie della legge Scelba. In merito all'atteggiamento del nostro Sindaco, riportato nell'ultima parte del contributo di Fabio Lamon, mi vengono in mente due citazioni: 1) "La campagna elettorale è finita. Sarò il sindaco di tutti i Lacassesi." (Roberto Rolle - Seduta di insediamento del neo-eletto Consiglio Comunale - Giugno 2009) 2) "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri." (George Orwell - La Fattoria degli Animali - 1945)

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